lunedì 28 aprile 2008

cpn del 19 e 20

Documento di maggioranza
Documento Giordano e altri
Documento Masella e altri
Documento Russo
Documento Bellotti e altri
Relazione introduttiva del segretario Franco Giordano
Ordini del giorno e appelli
Interventi. Da Liberazione del 26 qui, pagg 20 e 21
Interventi. Da Liberazione del 27 qui pagg 16 e 17

congresso

In vista del Congresso del Partito, prima previsto per aprile, poi rinviato a settembre e del quale si discute in questi giorni l'ipotesi di accelerare lo svolgimento cercheremo di fornire i link al dibattito, cercando di essere più esaustivi possibile.
Non sarà facile, anche perché non vorremmo, comunque, rinunciare a esprimere la nostra posizione.
Intanto allego questo messaggio giunto per posta elettronica.

Sabato 19 e domenica 20 aprile si è tenuto il Comitato politico nazionale del Partito della Rifondazione comunista dopo il tracollo elettorale delle recenti politiche. In due giorni di appassionato dibattito si sono registrati oltre 80 interventi, ma soprattutto sono state accolte le dimissioni della segreteria ed è stato approvato un documento che vede come centrale il rilancio del Partito. È stata così sconfitta l’ipotesi di partito unico della Sinistra in cui far confluire il Prc e sono state battute le “scelte irreversibili” di cui abbiamo troppo spesso sentito parlare anche durante la campagna elettorale.

Il documento che ha ottenuto la maggioranza dei voti è stato firmato, tra gli altri da tre compagne della segreteria uscente, Imma Barbarossa, Roberta Fantozzi e Loredana Fraleone, da Paolo Ferrero, Claudio Grassi, Aurelio Crippa e Ramon Mantovani. Il 55 per cento delle compagne e dei compagni che ha votato il documento proviene dalla vecchia maggioranza congressuale. Inoltre, a differenza delle indiscrezioni giornalistiche, alimentate anche da Liberazione, che fotografavano questa linea come propria degli ex Dp, si può notare che il documento è stato votato da un stragrande maggioranza di compagne e di compagni provenienti dall’ex Pci.

Per quanto riguarda i numeri, il documento della nuova maggioranza (prima firmataria Imma Barbarossa) ha ricevuto 98 voti (51,6 per cento dei voti espressi), il documento sostenuto da Giordano (primo firmatario Sergio Bellucci) 70 voti (36,8), 16 i consensi per il documento proposto da Gilda Belletti e cinque a quello promosso da Claudio Bellotti, 1 solo voto al documento di Franco Russo.

Tutti i documenti del Cpn sono scaricabili dalla sezione download del sito (a sinistra, nell’area menu).

Questo uno dei passaggi chiave del documento che ha ottenuto la maggioranza dei consensi:

“Riattivare il Partito della Rifondazione Comunista come progetto politico necessario alla sinistra in Italia per l’oggi e per il domani è un punto decisivo da cui non si può prescindere, in tutti i suoi aspetti, dal tesseramento all’iniziativa sociale, politica e culturale. Riattivare il Partito della Rifondazione Comunista dando certezze alle donne e agli uomini che hanno scelto di appartenere a questa comunità e dunque sgombrando il campo dalle ipotesi di dissolvenza e superamento, che hanno connotato la fase che abbiamo alle spalle, si sono esplicitate durante la campagna elettorale, contribuendo al disorientamento e alla demotivazione. Riattivare Rifondazione Comunista, riaffermando un’etica della politica, nella coerenza tra ciò che si enuncia e ciò che si pratica come nel quotidiano esercizio e rafforzamento della democrazia interna, rilanciando il percorso di Carrara. Riattivare il conflitto di genere dentro il partito, perché diventi realmente un soggetto sessuato in cui le donne non siano né fiori all’occhiello, né quote”.

Ed il Cpn proprio su quest’ultimo punto – conflitto di genere - ha approvato anche, con 76 voti a favore, 52 contrari e 6 astenuti, un odg che vede come prima firmataria Imma Barbarossa.

Tornando al documento che ricevuto i maggiori consensi, il testo affronta anche la questione dei rapporti a sinistra, ponendo il compito di riaggregarne il campo. Nel documento emerge la necessità di evitare la spaccatura tra chi propone la costituente della sinistra e chi propone la costituente comunista. “Sono due proposte – si legge - che frammenterebbero ulteriormente la sinistra, avrebbero effetti disgregatori nello stesso corpo di Rifondazione, il cui progetto politico è per noi prioritario rilanciare, dividerebbero la nostra gente sulla base di riferimenti ideologici privi di una consistente base politica”.

Sulla base dei voti ricevuti dai documenti presentasti al Cpn è stato nominato un comitato di garanzia – di cui non fa parte nessun membro della segreteria uscente - che traghetterà il Partito fino al congresso.
Dodici le compagne e i compagni componenti del comitato (6 alla nuova maggioranza, 5 al documento che vede come primo firmatario Bellucci e 1 al documento che ha come prima firmataria Gilda Belletti). Fanno parte del comitato di garanzia:

Maurizio Acerbo
Franco Bonato
Maria Campese
Titti De Simone
Erminia Emprin
Eleonora Forenza
Francesco Forgione
Claudio Grassi
Graziella Mascia
Alfio Nicotra
Gianluigi Pegolo
Rosi Rinaldi

domenica 20 aprile 2008

Stimo Bertinotti ma è devastante

La Stampa -->18 Aprile 2008

Il titolo è demenziale come del resto si evince dal testo dell’articolo.

«Spero proprio che i toni non vengano caricaturizzati, siamo dentro una sconfitta e oggi io la penso diversamente da lui, ma la mia stima per Fausto Bertinotti è integra, è una persona che ha speso tutta la sua vita nel movimento operaio…». Non si trattasse di Paolo Ferrero, ministro uscente della Solidarietà sociale, la frase potrebbe sembrare perfino sarcastica. Ferrero ha chiesto la convocazione del Comitato politico di Rifondazione, spinto il segretario Giordano a dimissioni preventive, e sta affilando le armi per il congresso di luglio.
Ferrero, sta preparando la corsa verso la segreteria? «E’ una domanda alla quale non rispondo. La riduzione della politica a questo è cosa che impedisce la politica stessa».
Allora perché ha chiesto la convocazione del comitato politico?«Perché avrei considerato demente e sarei rimasto esterrefatto se dopo una sconfitta di questa portata non lo si fosse convocato. Come invece avrebbero voluto Bertinotti e Giordano. Era la prima cosa che doveva venire in mente ad un dirigente. Era la cosa da fare anche se la Sinistra Arcobaleno avesse preso il 12%, magari con lo spumante. Dopo un terremoto, una comunità si ritrova, e cerca di capire dove può andare. Altrimenti c’è solo la disgregazione. Ho chiesto il Comitato politico perché sia chiaro alla gente con quale linea, in questi mesi, Rifondazione si spende, in vista del congresso».
Però tutti sanno che c’è uno scontro: i bertinottiani puntano alla costruzione di una Rifondazione allargata, e lei e Giovanni Russo Spena pensate anzitutto a una ricostruzione del partito. «Non è così. C’è l’ipotesi di costruzione di un soggetto nuovo della sinistra, che preveda lo scioglimento dei partiti e quindi anche del Prc, e che è stata avanzata in maniera molto chiara da Fausto. E c’è l’ipotesi della costituente dei comunisti, cara a Diliberto. Io ritengo queste due opzioni devastanti. Spaccherebbero la sinistra tra chi si dice comunista e chi no, e non si capisce che rapporto vogliano avere con il Pd. Sono per una federazione della sinistra, senza sciogliere i partiti ma valorizzando quello c’è, a cominciare dal Prc.
Pensa anche lei che sia tutta colpa di Veltroni se la sinistra resta fuori dal Parlamento, come titola «Liberazione»?«No. Noi abbiamo pagato l’inefficacia nostra, della nostra azione di governo».
Lei però non era favorevole a far cadere il governo.«Al governo, io sono sempre stato accusato di litigare troppo, non troppo poco, proprio La Stampa titolava “Un ministro rompiballe”… Quello che è mancato drammaticamente è stato il sindacato, che ha detto no quando potevamo migliorare l’accordo di luglio, avendo già un accordo con il Pd. Lì il governo è fallito, e noi abbiamo pagato il prezzo maggiore. Poi l’operazione di Veltroni ha indebolito Prodi e regalato il Paese a Berlusconi distruggendo la sinistra».
Però i flussi elettorali raccontano che il vostro elettorato ha votato Lega. Con argomenti leghisti, a Viareggio il Prc ha preso il 12,8 per cento.«Noi abbiamo scontato il non voto, che ci dice “siete tutti uguali”, il voto verso il Pd vissuto come utile contro Berlusconi, e il voto proletario di protesta, quelli che han preferito la Lega, che difende gli ultimi contro i penultimi, come se la condizione di sfruttamento non trovasse più una risposta nella lotta di classe. E’ su di loro che lavoreremo soprattutto nei prossimi mesi, quando si vedrà come userà l’extragettito il governo Berlusconi».

Ripartire dalla gente per ritrovarci a Sinistra

E Polis -->Aprile 17, 2008
Una Caporetto. O meglio una Wa(l)terloo, tanto per rimanere al passo coi tempi: leggasi come “disfatta, sconfitta, annientamento”. La sinistra cosiddetta radicale resta fuori dai giochi. Kaputt. Silenzio.Come è potuto accadere? Quali gli errori e soprattutto, di chi è la colpa? Di Veltroni? O di Bertinotti? Sarà, ma la teoria del “capro espiatorio” non ci convince proprio. Decidiamo quindi di fare un po’ di chiarezza, alla ricerca disperata del famoso “bandolo della matassa”: andiamo a sentire cosa ci dice qualcuno che di sinistra si intende davvero, l’ormai ex ministro Paolo Ferrero.
Come dice Diliberto «ce la siamo andata a cercare», non crede? Il problema è il fallimento dell’esperienza di governo, di quella maggioranza che non ha rispettato il programma: redistribuzione del reddito, lotta alla precarietà etc. Il nostro elettorato è rimasto deluso. Siamo usciti macinati dal fallimento dell’esperienza di governo: il Pd e le forze moderate hanno scelto Confindustria e i poteri forti…
Cannibalizzati da Veltroni? Veltroni ha adottato una strategia che ha cannibalizzato a sinistra e non ha preso niente al centro, anzi ha perso al centro: un disastro che ha ucciso noi e ha suicidato lui, o meglio, gli ha fatto perdere le elezioni. Ma non addossiamo all’esterno le nostre colpe: il problema è che l’indirizzo politico seguito nel 2006 è fallito per l’incapacità di portare a casa quei risultati per cui la nostra gente ci aveva votato.
Tutto da rifare in “casa” Rifondazione?Oggi Rifondazione discute. Anche in campagna elettorale c’è stato chi ha proposto la costruzione di un nuovo simbolo politico sciogliendo i partiti: ma non sono d’accordo su questa ipotesi, tanto più dopo il risultato elettorale. Penso sia necessario lavorare all’unità della sinistra: e per far questo è necessario che esista Ri-fondazione comunista, con un suo profilo, una sua capacità di organizzazione collettiva… Detta brutalmente, che i partiti a partire da Rifondazione, non considerino Rifondazione un ostacolo per la costruzione di una sinistra, ma una risorsa da valorizzare.
Rilancio dei simboli identitari? Deve essere una sinistra plurale in cui le diverse identità esistenti, anche quella comunista, siano presenti e non vengano negate o ridotte a folclore. Son dei pezzi della storia e dell’identità dei movimenti politici.
Ferrero segretario? Il problema ora è discutere sull’indirizzo politico, sul rilancio di Rifondazione e della sinistra, ripartendo dalla società. Il nostro buco fondamentale in queste elezioni sta nel fatto che la gente non ci ha percepito come utili. O il percorso riparte dalla lettura della realtà o non si arriva da nessuna parte: i nomi non sono importanti.
Si riparte dalla piazza?No, la piazza è l’effetto. C’è il lavoro di tutti i giorni, dalla costruzione del comitato, dalla costruzione di un conflitto in fabbrica, dalla capacità di contrattare la posizione degli operai invece di metterli uno contro l’altro. Il punto della questione sociale è se, di fronte al disagio sociale che c’è, ed è crescente - Berlusconi ha già annunciato misure impopolari - passa la logica della guerra tra i poveri che propone la Lega, oppure la logica di ricostruzione della solidarietà tra poveri.
C’è chi prospetta una stagione di violenza senza la rappresentanza della Sinistra in ParlamentoNo, credo che gli elementi di cultura politica della non-violenza costruiti in questi anni sia assolutamente dominante. Certo c’è da evitare che il governo di destra ripristini i metodi di Genova.
Qualcuno parla di un verdetto definitivo della storia. Si può ancora tornare indietro da questo sistema bipartitico? Ci sarà posto per tutti? Si può andare avanti: credo che questo sistema bipartitico galleggi anche lui sulle contraddizioni sociali che non è in grado di risolvere. Tutto dipende da noi. Che I il tentativo dei due partiti principali sia quello di restringere la democrazia alla scelta di due coalizioni troppo simili sulle questioni di fondo, è evidente. La possibilità di riaprire il gioco dipenderà da quello che saremo in grado di fare.

Ferrero: “Ripartiamo dalle lotte sociali”

Il Centro, Gazzetta Mantova, Nuova Sardegna -->Aprile 17, 2008
di Maria Berlinguer«Abbiamo avuto una sconfitta inequivoca, il governo non ha realizzato il programma che ci eravamo dati e la nostra gente ci ha percepito come inutili». Paolo Ferrero, ancora per poco ministro della Solidarietà sociale e altra anima di Rifondazione da sempre rispetto a Fausto Bertinotti e Franco Giordano, non cerca capri espiatori per la debacle elettorale che ha cancellato dal Parlamento la Sinistra. Ma mette le mani avanti sul futuro: dobbiamo cambiare subito, ripartire dal sociale e da Rifondazione comunista».
La Sinistra arcobaleno è da considerarsi archiviata per sempre?«Non sono io ad archiviarla ma gli elettori italiani. Io dico solo che in questa fase il rischio più grosso è che la sinistra si dissolva. Per questo penso che è fuori dal mondo chi propone di andare avanti con questo processo unitario. Dobbiamo assolutamente mettere qualche punto fermo e non dissolvere le strutture organizzative del partito. Dobbiamo ripartire da Rifondazione. La sinistra non si può ricostruire a partire dal superamento di quello che c’è ma con un diverso processo unitario. E i tempi della svolta devono essere rapidi: questo week end riuniremo il comitato politico nazionale per decidere che fare».
Si aspettava una sconfitta così clamorosa?«No, nessuno di noi l’aveva messa in conto. Certo pensavo avremmo avuto un calo di consensi, sapevo che avevamo dei problemi, quando hai degli iscritti che votano Pd… ma onestamente nessuno di noi aveva immaginato un disastro di queste proporzioni».
E’ colpa di Bertinotti?«La sconfitta è colpa di tutti noi, non cerco capri espiatori. Tuttavia la nostra campagna elettorale è stata fortemente caratterizzata dalla richiesta di votare a sinistra per non farla scomparire. Noi non vogliamo essere la sinistra del ceto politico ma la sinistra sociale».
Ovvero? Ripartite dalla falce e martello?«I simboli sono la nostra identità e sono importanti. Ma io sono e resto comunista perchè voglio difendere i più deboli. La sinistra è nata nel mondo con questo scopo. Bene, i più deboli non ci hanno riconosciuti come utili e non c’hanno votato. Questo è il punto».
Come pensa di ricostruire un rapporto di fiducia con il vostro elettorato?«E’ fondamentale ritornare alle lotte sociali. Dobbiamo rilanciare la battaglia contro gli sfratti e in favore delle famiglie che si vedono portar via la casa perchè non riescono a pagare i mutui, lottare per l’aumento dei salari perchè la gente non arriva a fine mese, lottare contro la precarietà. Dobbiamo occuparci dei bisogni reali della gente».
Molti elettori di sinistra hanno votato Lega e Pd. Oggi un giovane operaio precario di Mirafiori ha dichiarato di non aver votato perchè per lui, operaio interinale figlio di operaio, che vinca uno o che vinca l’altro non cambia niente.«Ecco per me essere comunista vuol dire questo: lavorare perchè quel giovane operaio non solo possa migliorare le sue condizioni ma cambiare il suo futuro».
Vi aspetta una lunga traversata nel deserto. Si candida alla guida del Prc?«La camminata sarà lunga ma non abbiamo elezioni dietro l’angolo e possiamo farcela. L’importante è non sbagliare perchè sarebbe fatale. Quanto alla segreteria vedremo. Il tempo stringe».

Ferrero: “Incapaci di incidere sull’azione di governo. E l’abbiamo pagato”

L’Unità -->Aprile 17, 2008
di Eduardo Di BlasiPaolo Ferrero, ministro della Solidarietà Sociale nel governo Prodi ed esponente di Rifondazione, nell’affrontare l’analisi della sconfitta elettorale, va subito al dunque: «Abbiamo pagato il fatto che, non avendo realizzato il governo Prodi le cose che avevamo comunemente messo nel programma, molta della gente che ci aveva votato ha pensato che noi non avessimo un ruolo politico».
Lei è stato ministro di quel governo…«Io credo che il problema fondamentale sia stato sulle politiche economiche. Il governo ha attuato un enorme programma di risanamento. Il rapporto deficit-Pil è passato dal 4,6% all’1,9%. Gli accordi di Maastricht ci obbligavano ad arrivare al 2,5%. Che vuol dire che nel 2007 si potevano spendere 8 miliardi di euro in riduzione delle tasse su stipendi e pensioni, misure degli anziani, e invece non si è fatto. La logica dei due tempi, prima il risanamento e poi si vede, che ha visto realizzato solo il primo tempo, è stata devastante per noi. Come l’accordo di luglio. La sinistra è stata schiacciata, e noi siamo usciti schiacciati anche dalle urne. Legato a questo c’è il fatto che il Pd ha lavorato a fare il pigliatutto a sinistra ed è riuscito nello splendido risultato di massacrare noi e di perdere a mani basse con Berlusconi».
Tra i vostri elettori si contano molti astenuti, e diversi che hanno votato Lega… «Quando dico che non siamo riusciti a segnare l’utilità sociale della sinistra intendo anche questo…».
Come farete adesso a ritrovare una funzione politica senza rappresentanza parlamentare?«Dobbiamo ripartire dal sociale. Perché credo che le contraddizioni sociali siano destinate ad aumentare: siamo in una fase non certo di sviluppo e la destra farà politiche non positive per le classi lavoratrici. Le contraddizioni sono destinate ad aumentare. Dobbiamo cominciare da lì. E penso che questa è una partita che ci giochiamo in diretta concorrenza con la destra, perché il rischio che abbiamo è che al peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro possano portare a dinamiche di guerra tra poveri o a soluzioni neocorporative in cui ognuno si aggiusta come può con il proprio datore di lavoro. Il nostro problema è nel costruire dei percorsi che invece diano uno sbocco nei termini di ripresa di un conflitto di classe, o, se vogliamo, di un conflitto del basso contro l’alto».
Nichi Vendola afferma che il simbolo della Sa sia stato avvertito solo come un logo che copriva roba vecchia… «A me non convince la dialettica nuovo-vecchio come spiegazione. Credo che il nostro problema sia che non siamo riusciti a mostrare una nostra utilità sociale».
Per rilanciare questa lotta del basso contro l’alto, questo simbolo può essere rimesso in campo?«Rimane intatto il problema dell’unità a sinistra e della valorizzazione di tutte le forme in cui si partecipa politicamente. Io ritengo si debba cercare un percorso partecipato e costruito perché è evidente che quello della Sa, così come l’abbiamo fatto, non ha funzionato. E credo si debba fare un percorso che parta più dal basso e più ragionato. Spesso viene fuori la parola “accelerazione”. Io penso che le accelerazioni, quando si è pestato la testa contro il muro, non sono una buona soluzione. Così come ritengo sbagliato l’arroccamento. Sono due reazioni sbagliate alla sconfitta. C’è un problema di radicamento sociale, e di riflessione anche sulle forme. In questo quadro la mia idea è che le forze politiche che ci sono non siano un ostacolo ma una risorsa. E quindi credo sia sbagliato porre il tema dello scioglimento dei partiti o dell’unità “con chi ci sta”».
Resta il problema dei tempi…«Dopo una scoppola del genere bisogna partire subito, e credo che l’appuntamento di sabato a Firenze, quello convocato da Ginsborg, così come il nostro comitato politico di sabato e domenica siano dei punti di passaggio importati».
La strategia di Rifondazione di portare i movimenti al governo del Paese, Iei la giudica fallita…«Naufragata. Per due elementi. Da una parte le forze della sinistra moderata non sono state coerenti con quanto scritto nel programma. I poteri forti su tutti i punti decisivi sono stati più forti di noi. Il secondo è che mi aspettavo che le organizzazioni sindacali giocassero un ruolo di difesa forte della loro parte».
In che senso?«Penso alla redistribuzione del tesoretto, ma soprattutto all’accordo sul Welfare. Di fronte a un accordo sindacale che chiedevamo di migliorare, sono rimasto impressionato che le organizzazioni sindacali dicessero “non si tocca”».
C’era stato il referendum dei lavoratori…«Ma se noi l’avessimo migliorato, secondo lei, quei 5 milioni di lavoratori che hanno votato “sì” avrebbero votato “no”?».
Però il fatto che si fossero pronunciati significa in qualche modo che la pensavate in modo diverso… «E forse lo si vede anche dal voto di oggi. Nel senso che non mi sembra che il Pd tra i lavoratori sia andato quell’ira di dio. Chi a Miraflori aveva fischiato Cgil, Cisl e Uil a dicembre 2006, non credo abbia votato tanto a sinistra».

Ripartire da Rifondazione Comunista

By -->Aprile 15, 2008
La sconfitta che abbiamo subito alle elezioni è pesantissima. Essa va oltre la semplice registrazione del pessimo risultato della nostra partecipazione al Governo Prodi, o dell’arretramento sociale e culturale cha abbiamo subito negli anni scorsi. C’è di più: c’è che non siamo riusciti a comunicare alla nostra gente il senso della nostra utilità.Questa sconfitta che ha portato alla scomparsa della sinistra dal Parlamento rischia di aggravarsi per il processo di dissoluzione politica del gruppo dirigente della Sinistra Arcobaleno che si caratterizza, nei commenti post voto, per una babele di messaggi che vanno da chi intende entrare nel PD, a chi vuole rilanciare il centro sinistra, a chi vuole fare l’unità coi socialisti, a chi si affida ai giovani, chi ai padri nobili, ecc. Alla sconfitta rischia rapidamente di subentrare il completo disorientamento e la perdita del senso del proprio impegno politico.Non migliori mi paiono le due opposte ipotesi che si sostengono a vicenda: quella di un nuovo partito della sinistra che veda lo scioglimento dei partiti esistenti, e quella dell’unità dei comunisti. Questi progetti si sostengono a vicenda perché alla fine se andassero avanti sarebbero destinati a realizzarsi in parallelo ottenendo l’esito di ridividere la sinistra su basi ideologiche senza alcuna chiarezza sulla linea politica e sulla cultura politica dei soggetti stessi. Questi progetti prevedono nei fatti la distruzione di Rifondazione Comunista e del suo patrimonio di elaborazione, di linea, di militanza. Un disastro politico che - tra l’altro - non farebbe i conti con il problema del reinsediamento sociale della sinistra e con la necessità di fare i conti con la crisi della politica e con le forme assai diversificate di militanza che caratterizzano la sinistra diffusa.Per questo è assolutamente necessario attivare al più presto sedi di discussione politica in tutte le città, per ragionare collettivamente su quanto è successo. Riattivare i percorsi di discussione politica è assolutamente necessario per evitare che la sconfitta determini il ripiegamento e il ritorno a casa delle decine di migliaia di compagni e compagne, con o senza tessera di partito, che hanno generosamente dato il loro impegno nella campagna elettorale.In questa situazione terremotata io ritengo che si debba ripartire da qualche punto fermo. Per questo ritengo necessario, nel contesto di valorizzazione dei rapporti unitari a sinistra, rimettere in pieno funzionamento Rifondazione Comunista, sia come corpo politico collettivo formato da decine di migliaia di compagni e compagne, sia come capacità di proporre un indirizzo politico grazie al quale uscire dal pantano.Per questo è bene che il Congresso sia fatto immediatamente e per questo ho insistito moltissimo per avere la riunione del Comitato Politico Nazionale nelle giornate di sabato e domenica prossimi, dopo l’assemblea di Firenze “per la Sinistra unita e plurale”. Una riunione dell’organismo dirigente di Rifondazione è necessaria per riattivare il corpo del partito e il suo gruppo dirigente e per darci una linea da tenere nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Senza una direzione politica chiara Rifondazione è destinata ad essere triturata dalla sconfitta elettorale e dalla confusione politica.Ripartire da Rifondazione Comunista - che deve continuare a vivere per l’oggi e per il domani - è condizione assolutamente necessaria per poter ricominciare a lavorare ad un processo di unità della sinistra che - evitando scorciatoie politiciste ed organizzative - riesca a ricostruire una lettura credibile della società italiana, un qualche grado di radicamento sociale e un senso concreto dell’utilità sociale della sinistra in questo nostro paese.

Ora una casa comune. Ci vediamo a Firenze

il Manifesto -->Aprile 13, 2008
Al termine di questa lunga campagna elettorale e nella speranzosa attesa di raccogliere un buon risultato, voglio ringraziare i compagni e le compagne che hanno convocato l’appuntamento del 19 aprile a Firenze. Mi pare possa diventare una tappa importante del percorso di costruzione della sinistra unitaria e plurale.Lo è per i tempi. Perché dobbiamo discutere da subito come andare oltre la scadenza elettorale, nel percorso intrapreso.Lo è per la cultura politica che esprime nella volontà di costruire un luogo in cui, tante e tanti, provenienti da orizzonti politici e culturali diversi, che hanno fatto in queste settimane una difficile campagna elettorale, possano ritrovarsi e discutere di come proseguire nel lavoro comune, nella costruzione collettiva.Lo è per i soggetti che lo propongono, che rappresentano un’esperienza vera di rinnovamento dell’agire politico. Lo è per la volontà esplicita di costruire un percorso dal basso, democratico e partecipato in cui partiti, associazioni, comitati, singoli e singole, possano contribuire alla costruzione di un casa comune, oltre il cartello elettorale, dove culture e diversità siano vissute come ricchezza. Dove la dialettica delle idee e delle diverse modalità dell’impegno politico possa costruire la base per nuove pratiche e nuove sperimentazioni.Sottolineo questi elementi perché a mio avviso la scommessa che abbiamo dinnanzi consiste nel coniugare positivamente l’esigenza dell’unità e il rispetto delle differenze, la comprensione che i diversi percorsi politici oggi in essere non sono un limite ma una risorsa. Lo sottolineo perché sono molto preoccupato che il giusto desiderio dell’unità porti a precipitazioni organizzative che rischiano di pregiudicare l’obiettivo.Oggi le pratiche politiche con sui si sta a sinistra sono tante e credo sia necessario cogliere questa novità evitando sia il settarismo dei partiti esistenti che l’idea palingenetica di un nuovo partito.C’è bisogno a mio parere di una casa della sinistra, in cui la molteplicità delle forme di impegno sociale, culturale e politico possano dispiegare il massimo di efficacia, costruendo al tempo stesso le modalità e le regole in modo che tutti possano contare e decidere, chi è iscritto ad un partito come chi non lo è. In questa direzione ho proposto nei mesi scorsi di ragionare sull’esempio della F.L.M., del sindacato dei consigli. Si tratta di allargare la sfera di coloro che possono partecipare al progetto politico a partire dal proprio impegno specifico. La costruzione della sinistra unitaria e plurale coincide a mio parere con la capacità di dare una risposta alla crisi della politica evitando con grande attenzione di cadere nelle semplificazioni veltroniane. Su questo percorso negli anni scorsi è nata la positiva esperienza della sinistra europea. Oggi è possibile allargare e qualificare questo percorso.A partire da queste considerazioni mi è parsa molto opportuna la convocazione dell’assemblea fiorentina e credo sia bene che tutte e tutti vi partecipino.

martedì 8 aprile 2008

assalto alla sede di Punto Rosso di Milano

Comunicato stampa

Associazione Culturale Punto Rosso e Vittorio Agnoletto


Milano, 8 aprile 2008. Nella notte tra lunedì 7 aprile e martedì 8 aprile, ignoti hanno scassinato una porta di ferro con danni alla muratura e hanno fatto irruzione negli spazi dell'Associazione Culturale Punto Rosso, la cui sede ha
alcune vetrine che danno su via Guglielmo Pepe e su via Carmagnola, a Milano. Hanno rubato tre computer, rispettivamente appartenenti a Giorgio Riolo, presidente dell'associazione, alla segreteria del Punto Rosso e allo staff di Vittorio Agnoletto, eurodeputato.
Tutti computer con dati sensibili e documenti di vario tipo. Hanno scaraventato a terra raccoglitori con documentazione, fogli etc, hanno messo sottosopra l'intera sede.

Sicuramente hanno potuto contare su informazioni in loco, nel caseggiato. Ma il tutto avviene in una fase politica e in un momento particolari. È un atto politico grave nei confronti di un'associazione che opera a Milano e in
Italia come spazio politico e culturale della sinistra, operando nel movimento altermondialista. L'Associazione Culturale Punto Rosso è tra i promotori de La Sinistra L'Arcobaleno.


Già nel dicembre 2006 l'associazione milanese ha subito un altro furto, nel corso del quale furono rubati i computer dello staff di Agnoletto, altri pc e materiale.

Stamattina è stata sporta denuncia presso le autorità competenti.

lunedì 7 aprile 2008

Dai centri sociali ai Boys Parma: chi era Matteo, attivista e ultras

il manifesto 01.04.2008
Scritte e striscioni in tutta la città per ricordare il giovane ucciso in un autogrill
Ventisette anni, una tesi di laurea contro gli inceneritori e un lavoro come esperto di sicurezza sul lavoro. La storia di «Bagna», tra l'amore per il Parma e la militanza antirazzista. Gli amici lo difendono: «Quella volta che ospitò due immigrati a casa sua»
Giacomo Russo Spena

Si divideva tra le sue passioni: l'impegno sociale e il mondo delle curve. Matteo Bagnaresi, il ragazzo di 27 anni rimasto ucciso in un incidente in autogrill, era un attivista politico dai tempi del liceo.
Laureato con una tesi contro gli inceneritori, una battaglia che lo coinvolgeva e per la quale aveva firmato numerosi appelli, da oltre due anni lavorava come esperto di sicurezza sul lavoro: controllava che le aziende stessero a norma con la 626. «Un compagno con la passione del calcio» ricordano i suoi amici, «uno sempre disponibile ad aiutare gli sfruttati della società», «un generoso», «un antirazzista», «un antifascista». Una persona che delle lotte sociali aveva fatto una ragion di vita e che nelle curve vedeva «un mondo libero». E ora dopo il danno la beffa per tutti quelli che conoscevano bene Bagna (così veniva chiamato amichevolmente): «Oltre alla sua scomparsa - denunciano gli amici e i Boys del Parma - dobbiamo subirci menzogne infamanti sulla sua vita». Ce l'hanno con quei media che già dalle prime ore dopo l'incidente si erano scatenati definendolo come «un'antagonista», un «antisistema», un «soggetto pericoloso», un «violento». «Si rispetti la verità - è scritto in un comunicato - si rispetti la memoria di un ragazzo che non c'è più, si rispetti il dolore di chi a Matteo ha voluto bene». Bagna infatti da quando stava a scuola ha sposato la politica e il calcio, intrecciandole. Un «compagno» a tutto tondo con la passione sfrenata per il suo Parma, senza ripudiare forse anche lo scontro con le tifoserie avverse. Gli amici però tengono a precisare che non aveva un'«indole violenta». Era uno come tanti. «Splendida persona, nel dolore preferiamo ricordatelo in mezzo a noi, nei cortei, nella musica, mentre sorride. Il tuo pensiero verso gli sfruttati di questa società continuerà a essere la benzina del nostro fuoco di ribellione», afferma con un comunicato tutto il mondo di sinistra e dell'associazionismo di Parma.
Dai comitati antirazzisti alle reti di lotta per il diritto alla casa passando per la rdb parmense per finire con lo spazio sociale Mario Lupo (ragazzo ucciso a Parma nel 1972 da un gruppo di estremisti di destra). Il luogo che Bagna frequentava e in cui è cresciuto politicamente. Era particolarmente sensibile al tema dell'antifascismo: «Non possiamo permettere - aveva scritto in un appello in merito agli arresti successivi agli scontri antifascisti dell'11 marzo 2006 - che si incarcerino i compagni, perché di loro c'è bisogno nelle lotte e non nelle galere». Ora sono due anni che il Mario Lupo è senza sede, anche se ieri fuori al vecchio stabile occupato uno striscione lo ha simbolicamente riaperto: «Il tuo sorriso non si spegnerà mai». Sabato scorso ad una iniziativa in piazza contro le ronde notturne dei leghisti è stata l'ultima volta che i «suoi compagni» lo hanno visto: «Era un banchetto - raccontano - per denunciare gli atteggiamenti violenti e ostili contro gli immigrati».
Questione, quella dei migranti, a cui Matteo era particolarmente legato: sapeva bene, per lavoro, la loro condizione nei cantieri. Un amico racconta un aneddoto per dimostrare come il suo impegno andasse oltre la rivendicazione politica: «Una volta ha aiutato una coppia di immigrati clandestini ospitandola a casa sua e aiutandoli economicamente». Ma Bagna era attivo anche contro la legge Fini-Giovanardi sulle droghe e si opponeva alle forme di controllo, come la «censura» del web. Un compagno conosciuto a livello nazionale per la sua presenza a Genova al G8 e l'anno successivo al social forum di Firenze. Come la sue partecipazioni ai cortei in difesa delle «comunità» ribelli no-Dal Molin e no-Tav in primis. I colleghi della Cooperativa Aurora, dove Bagna lavorava, hanno scritto una lettera in cui descrivono Matteo come «una persona libera che non seguiva logiche predefinite o imposte, ma che agiva seguendo i valori in cui credeva, che erano in lui profondamente radicati. Si è inserito nella nostra cooperativa con garbo, educazione, competenza e professionalità, riuscendo in breve tempo a diventare un riferimento per il nostro lavoro». E nella «borghese» Parma Matteo aveva trovato nel calcio una passione smodata. Il 6 gennaio 2005 era arrivato per lui un daspo (diffida) per gli scontri avvenuti a fine gara tra Juventus e Parma. Tre anni senza poter seguire la sua squadra. Anche se, come è d'usanza di molte tifoserie, in curva parmense era comparso uno striscione dedicato a lui: «Diffidati sempre con noi». «Il Bagna era un ultras, membro del gruppo - recita un comunicato dei Boys - aveva un lavoro e tante passioni. Tra queste c'era il Parma. Seguiva la squadra in casa e in trasferta, partecipava attivamente al tifo. Ora c'è stato repentinamente sottratto, ne sentiamo la feroce mancanza». Ma già ai tempi del liceo Bagna esprimeva ideali «pro ultras», si definiva «un libero pensatore del calcio». I Boys infatti nascono nel 1977 e inizialmente, pur avendo una componente molto variegata al proprio interno, si caratterizza per una presenza di gente di destra. Negli anni '90 si ricorda anche l'episodio del portiere Gigi Buffon che per «piacere» a qualcuno della curva indossò la maglietta con su scritto «Boia chi molla».
Poi il ribellismo ultras prende sembianze più sinistrorse, un po' come avviene nella città, anche se i Boys rimangono ufficialmente apolitici. E un gruppo che non spicca per l'uso della violenza. Le ostilità più forti con l'odiata Reggiana, squadra di Reggio Emilia. Lo stesso Bagna per motivi di «campanilismo ultras» in una lettera avverte gli Off Laga, un gruppo rock di Reggio Emilia reo di aver fatto una canzone anti parmense, di non suonare in concerto a Parma. Poi c'è l'odiata Juventus. Nel 2005 era scattato il daspo per Matteo e terminato lo scorso 10 gennaio, domenica era la prima volta che rivedeva da vicino i tifosi bianconeri. Per una casualità o meno, è stata per Bagna l'ultima volta. Intanto mentre la famiglia si è chiusa in un doloroso silenzio nella città di ora in ora aumentano le scritte in suo ricordo: «Il tuo urlo libero sempre nella nord», campeggia fuori lo stadio Tardini.

«Perugini? Stressato per troppo lavoro»

Bolzaneto
il manifesto 01.04.2008
Genova La difesa del poliziotto: «Nella caserma non era lui al comando»
Alessandra Fava
Genova

Con turni di 20 ore per tre giorni di fila era impossibile seguire le procedure prescritte e i responsabili della struttura erano altri: è stata questa ieri la linea di difesa dei difensori dell'allora vice capo della Digos genovese Alessandro Perugini, oggi vicequestore ad Alessandria.
Imputato insieme ad altri 44 tra medici, infermieri, agenti della polizia, della penitenziaria e carabinieri nel processo per le torture avvenute nella caserma di Bolzaneto durante il G8, Perugini è accusato tra l'altro di abuso d'ufficio e di abuso d'autorità contro i detenuti e di alcuni episodi specifici, come il non aver verbalizzato il fatto che agenti della penitenziaria abbiano spruzzato gas urticante attraverso la finestra contro i fermati. Perciò alla fine della requisitoria, i pm Vittorio Ranieri Miniati e Patrizia Petruziello hanno chiesto per lui una pena di 3 anni e sei mesi di reclusione, provando che alla caserma di Bolzaneto Perugini era uno dei massimi responsabili, il più alto in grado della polizia di Stato e fu presente a Bolzaneto da venerdì 20 all'alba di domenica 22 luglio del 2001, perciò non poteva sapere e vedere che cosa stava succedendo nella caserma e quali sopprusi avvenivano, vista anche la ristrettezza degli spazi.
I suoi avvocati hanno tentato di ribaltare la frittata, dimostrando prima di tutto come abbia cercato di soccorrere i fermati. Perciò hanno riportato stralci di testimonianze sia di agenti che di fermati, come quella di un ragazzo che disse «l'ufficiale è riuscito a riportare la calma e mi ha chiesto se volevo chiamare qualcuno o contattare un avvocato». L'avvocato ha anche accennato a qualche forma «d'inerzia» da parte di Perugini visto che «non è stata posta in essere omissione d'atti pubblici». Insomma secondo i legali Perugini non era responsabile di niente, semmai ci furono 'mancanze', 'defaillances', dovute all'attività frenetica: «Con 20 ore di lavoro al giorno per più giorni era impossibile non commettere un reato viste le carenze organizzative a livelli apicali con i quali non abbiamo niente da spartire». Nell'udienza Pendini ha anche accusato i pm di «un'impalcatura un po' cervellottica» a proposito del ruolo di responsabilità di Perugini. Quanto all'episodio del gas urticante l'avvocato ha ricordato che Perugini stesso ammise la propria lacuna. Lunedì prossimo sarà la volta dei difensori del generale Oronzo Doria.
Da ricordato che Perugini è il poliziotto ritratto in una foto pubblicata da moltissime testate che lo ritrae mentre sferra un calcio a un minorenne di Ostia sabato 21 luglio a pochi passi dalla Questura. Dopo che quel ragazzo è riuscito ad essere prosciolto dall'accusa di resistenza e di sassaiola contro i poliziotti, l'accusato è diventato Perugini (processato per lesioni, falso e abuso d'ufficio). La requisitoria dovrebbe tenersi in autunno, ma intanto i legali di Perugini hanno offerto al ragazzo un risarcimento di 30 mila euro anche per evitare che si costituisca parte civile.

«Perquisizioni e coop, ma non ci fermiamo»

il manifesto 01.04.2008
La leader dei no dal Molin, Cinzia Bottene: «La procura ha voluto intervenire prima delle elezioni. Adesso chiuda in fretta le indagini». E sull'appalto per raddoppiare la base Usa di Vicenza: «Ce lo aspettavamo, per loro è un lavoro come un altro»
Orsola Casagrande
Vicenza

Tutto procede con estrema serenità. Cinzia Bottene è uno dei volti del presidio permanente e della battaglia contro la nuova base militare che gli Usa, complice il governo Prodi, vorrebbe costruire nel cuore di Vicenza. Sorridente, affabile, disponibile come sempre Cinzia Bottene è anche la candidata sindaco della lista che il presidio ha messo in piedi in occasione delle elezioni comunali. «Sono serena - dice - e questa serenità mi deriva dal fatto che non ho brame di potere». Mettersi a disposizione di una causa, prima di tutto perché in quella causa si crede. E' questo che sta alla base della decisione di candidarsi alle elezioni.
Partiamo da qui, dalla campagna elettorale. Come sta andando?
Come ho detto noi siamo estremamente sereni. Nessuno dei candidati e nessuno dei partiti ha la nostra serenità, mi sento di poterlo dire senza timore di smentite. Perché noi non abbiamo ambizioni di potere. Per noi queste elezioni sono una tappa di una battaglia che dura da due anni. Le elezioni non sono il capolinea e questo ci è molto chiaro. La battaglia è ancora soltanto all'inizio e lo sappiamo bene. Le elezioni andranno come andranno, noi continueremo a stare in pista. Se andrà male il nostro percorso non si esaurirà. Se andrà bene (ride, ndr) forse i risvolti negativi ci saranno per me nel senso che dovrò modificare la mia vita, inevitabilmente.
Come ti accoglie la gente?
Direi bene. Mi fermano persone insospettabili, e non solo perché sconosciute. Mi fermano le persone più diverse, per età, estrazione sociale. In generale i commenti sono tutti positivi. La gente ci chiede di continuare e esprime la loro solidarietà. Chiede di essere coinvolta. Penso che i vicentini abbiano compreso il messaggio che abbiamo cercato di comunicare: noi non aspiriamo a entrare in consiglio comunale per interesse personale. Vogliamo metterci a disposizione della città, o per meglio dire vogliamo essere uno strumento in più per i vicentini. Che potranno avere voce in comune e dire la loro su quali siano le scelte migliori per la città.
In questa ultima settimana ci sono stati due episodi diversi tra loro ma entrambi piuttosto inquietanti, come li avete definiti. Partiamo dalle perquisizioni nelle abitazioni di alcuni esponenti del presidio.
Ho denunciato e continuerò a farlo che si è agito con poca cautela, mettiamola così. I tempi erano sbagliati. Questa sull'attentato all'oleodotto è un'indagine che va avanti da dieci mesi. Allora due settimane in più per ordinare le perquisizioni non avrebbero fatto alcuna differenza. Invece si è scelto di farle prima delle elezioni. Io ho chiesto e lo ribadisco che, vista l'urgenza con cui si è proceduto alle perquisizioni, si proceda altrettanto rapidamente alla chiusura delle indagini. Vogliamo che prima delle elezioni vengano resi pubblici i risultati delle indagini, delle analisi dei computer e dell'altro materiale sequestrato. Noi non abbiamo timori perché le nostre azioni sono tutte alla luce del sole. Quanto poi alle dichiarazioni del procuratore sul fatto che sia stato il presidio a rendere pubbliche le perquisizioni noi ripetiamo che non abbiamo nulla da nascondere. A parte il fatto che sarebbe stato assai difficile tenere nascoste perquisizioni condotte in abitazioni private da dieci agenti. E poi davvero, noi non abbiamo paura di rendere pubbliche le notizie che ci riguardano proprio perché non abbiamo nulla da nascondere.
L'altra cosa che è accaduta in questa settimana è stata la comunicazione da parte degli americani del vincitore del contratto per la costruzione della nuova base.
Per noi si è trattato di una conferma, non di una notizia. Che l'appalto sia stato affidato a cooperative rosse non ci stupisce, del resto le dichiarazioni del presidente del Cmc di Ravenna non potevano lasciare dubbi sul fatto che il profitto viene prima di qualunque altra cosa. Il denaro evidentemente non puzza e per realizzare denaro qualcuno è disposto a fare qualunque cosa. Il presidente del Cmc ha detto che per lui la costruzione della base americana al Dal Molin è soltanto un altro appalto, che lui ha cinquemilacinquecento dipendenti da mantenere. Io non penso che sia così. Non penso che si possa accettare tutto, sempre.
Cosa bolle in pentola per i prossimi giorni?
L'assemblea del presidio deciderà che forme di protesta attuare nei confronti delle cooperative rosse, pensiamo al boicottaggio. Vedremo in questi giorni. E poi il 7 aprile in piazza delle poste ci sarà una grande serata di spettacolo e parole con Dario Fo e don Gallo.

Ginsborg: «Basta rinvii, ora una sinistra nuova»

il manifesto 01.04.2008
Il 19 aprile assemblea nazionale a Firenze per una sinistra «unita e plurale». Invitati partiti, associazioni e movimenti. Per il professore inglese l'«anomalia» italiana è intatta: «Veltroni sbaglia, il Pd ha rimosso il problema Berlusconi» «Non serve solo una nuova fisionomia organizzativa ma anche una profonda innovazione culturale»
Matteo Bartocci

«Cari leader, noi non vi aspettiamo un minuto in più, dopo il voto il processo unitario deve andare avanti su basi nuove». Paul Ginsborg e il laboratorio fiorentino «per la sinistra unita e plurale» hanno ingoiato molti rospi prima e durante questa campagna elettorale. Ma la sfida vera, a sentire il professore anglo-fiorentino, inizierà dopo il voto. «Lo dico molto chiaramente - esordisce Ginsborg - sabato 19 aprile ci sarà a Firenze un grande appuntamento nazionale al quale invitiamo tutta la sinistra, i partiti, gli autoconvocati, i movimenti, le associazioni, chiunque. Ci vediamo per dire ai leader: noi non vi aspettiamo, abbiamo insieme fatto la campagna elettorale e ora serve un processo costituente senza rinvii». Rita Borsellino e Paolo Cacciari ci saranno.
E Bertinotti?
Lo vedrò qui a Firenze in un incontro pubblico lunedì prossimo. Se il 19 aprile vorrà venire anche lui ne sarei molto felice. Questa sinistra si può fare velocemente ma si deve fare bene - con umiltà, intelligenza e lungimiranza. Non serve solo una nuova fisionomia organizzativa ma anche una profonda innovazione culturale e teorica. Se la sinistra vuole essere diversa e non subalterna deve partire da proposte alternative convincenti rispetto all'economia globale.
Qual è la prima cosa su cui dovrebbe impegnarsi la sinistra nella prossima legislatura?
Bisogna fare di tutto per esaltare il ruolo educativo e culturale della televisione pubblica e difendere a denti stretti il ruolo pubblico in tutti i campi, dall'acqua all'istruzione. Tutto ciò che è pubblico va depurato da clientele e lassismo per renderlo più efficiente. E' paradossale ma proprio in questi giorni tutti i più grandi liberisti della terra chiedono che lo stato salvi le grandi banche dalla crisi economica. E' assurdo che non se ne parli in campagna elettorale.
Allora, anche lei come altri intellettuali dice: «Questa sinistra fa schifo ma andrò a votarla»?
Non sono ancora cittadino italiano ma se potessi, voterei senza esitazione per la Sinistra arcobaleno. Anche se per ora è un cartello elettorale un po' precario credo che sia assolutamente essenziale che sopravviva e che dopo le elezioni cominci a far crescere una cultura unitaria a prescindere dagli interessi di gruppo o di una parte dei dirigenti locali e nazionali.
A sinistra pesa di più la frattura tra politica e cittadini o quella tra i vari partiti?
L'antipolitica non è un'invenzione. La casta è anche nella sinistra. L'assenza di qualsiasi elemento di democrazia nella selezione dei candidati è un segnale chiarissimo. Se nessuno ha potuto esprimere un'opinione sui candidati è ovvio che la campagna elettorale sia poco convincente.
Si parla tanto di «americanizzazione» della politica italiana. Condivide?
La campagna elettorale di Veltroni è chiaramente influenzata dall'esperienza americana. Se va riconosciuto che piazze e palasport sono pieni è altrettanto vero che è una campagna che si riassume in un persona sola. Non è che altri esponenti del Pd radunino le folle. I comizi sembrano più degli happening che un'occasione per tessere una nuova cultura politica. Il Pd si mobilita per le elezioni ma non è detto che riesca a costruire una rete attiva nella società.
Ormai lo stacco tra politici e società è evidente. Perché le classi popolari votano sempre più a destra?
E' un processo più generale. Perfino in Toscana ormai l'asimmetria tra la parte privata della propria vita e quella pubblica o civile è profondissima. E' come se quest'ultima sia stata completamente svuotata.
Perché e da chi, secondo lei?
Da molte cose ma soprattutto da una cultura televisiva deleteria e pervasiva. Da 24 anni di controllo di una sola persona sulla televisione commerciale. Mi fa un certo effetto che il Pd rimuova quasi completamente il problema rappresentato dal «berlusconismo». E Veltroni in questo ha una grande responsabilità.
E' lo stesso Veltroni che apre al dialogo senza condizioni sulle riforme. Ma si può dialogare con Berlusconi?
Se dici che non si può ti rispondono subito che non porta voti che sei un estremista, un moralista o un ingenuo. Che quella stagione si è chiusa. Però la cosa strana è che qualunque giornale d'Europa la prima cosa che ti chiede in un'intervista è: «Com'è possibile che Berlusconi torni per la terza volta? Perché gli italiani non si ribellano al controllo politico e commerciale sulle tv?». C'è un contrasto fortissimo tra l'opinione pubblica europea e la rimozione del problema che si fa in Italia. L'anomalia italiana è seria e intatta. Peccato che manchi il coraggio per discuterne.
Le anomalie italiane però sono almeno due: né Berlusconi né il Pd hanno paragoni in Europa.
E' vero che il Pd non esiste da nessun'altra parte però sono certo che sarà accolto fraternamente dal socialismo europeo. Asor Rosa ha ragione quando sostiene sul manifesto che è molto grave che di fronte all'emergenza democratica del «berlusconismo» il Pd abbia preferito puntare tutto sulla sua identità partitica invece di fare un accordo per vincere con la sinistra. E' troppo facile dipingere la Sinistra arcobaleno come se fosse una pecora nera che blatera sempre 'no, no, no'. Solo così possono giustificare una frattura sbagliata.

«Sarà un affare per pochi»

il manifesto 01.04.2008
intervista

Luciano Muhlbauer (Sa): «Non arrendiamoci a quest'idea di città»
Mariangela Maturi

Milano Luciano Muhlbauer, consigliere regionale lombardo del Prc, non ha mai nascosto le sue perplessità su Expo 2015.
Come fai a essere contro oggi?
Il progetto, contestato dal Comitato NoExpo, non risulterà essere una soluzione ai problemi di Milano. Si tratta di un affare per pochi, che produrrà scarsi benefici per i cittadini. E' chiaro che la giunta comunale di centrodestra userà l'Expo per regolare i conti con chiunque non si arrenderà alla loro visione di città, fatta solo per gli interessi economici, che mette sotto pressione i comitati di base e i cittadini. Ci troveremo di fronte ad una demagogia di città grigia e dedita ai grandi affari, in cui anche il tempo libero è mercificato.
Come possono opporsi le piccole realtà del territorio che rischiano di essere spazzate via?
La vittoria era prevedibile. Nulla di sconvolgente. Questa è una sfida che ci dovrà vedere impegnati e ben coordinati per limitare i danni dell'Expo. Ora per noi si tratta di aprire nuovi fronti, innanzitutto continuando la battaglia sul consumo zero per salvaguardare un territorio ormai saturo in cui gli spazi verdi sono stati aggrediti, e in secondo luogo bisogna lottare contro la cementificazione del territorio. Essenziale sarà poi soprattutto il contributo della rete di comitati e delle realtà lombarde che esprimono opposizione al processo di trasformazione urbanistica, dettato solo da interessi speculativi e non dalle esigenze di chi abita e lavora sul territorio. Si creerà una città su misura solo di alcuni. L'Expo poteva essere una risorsa per migliorare i quartieri popolari, il vantaggio andrà invece agli imprenditori che costruiranno «ghetti per ricchi». Ci propongono questo modello di città, quello dei Formigoni, dei De Corato, dei grandi costruttori.
A proposito, quale sarà il ruolo della Regione?
Il ruolo della Regione è spesso sottovalutato, sta applicando una politica di interessi privati, come nell'edilizia pubblica che ha subito un taglio di 20 milioni sulla costruzione di case popolari. In questo senso la politica di affidarsi al privato rientra perfettamente nella logica dell'Expo, basata sulla mobilitazione di capitali privati.
Il tema dell'Expo è «Nutrire il pianeta, energia per il mondo». Pensi che la battaglia contro la fame sarà concreta?
Questa del nutrimento del pianeta è una vetrina per proporsi, ma ciò che conta sono i grandi appetiti degli immobiliaristi. Il sindaco ha promesso che i paesi a favore della candidatura di Milano e quelli ospitati dall'Expo godranno di progetti per il loro territorio, un po' di cooperazione, ma non si farà molto di più. Piuttosto su questi temi cerchiamo soluzioni alternative.

Pacifisti, cioè di sinistra

il manifesto 31.03.2008
Pietro Ingrao: «Io accuso la lentezza e la fragilità con cui affrontiamo la questione guerra»
Il nostro paese è stato coinvolto in conflitti offensivi. Silenzio dai custodi della Costituzione e il popolo non si è ribellato. La pace sembra impossibile o inutile. Invece è il bene primo
Tommaso Di Francesco

«Coprifuoco a Baghdad». Il titolo della notizia potrebbe essere datato all'aprile di cinque anni fa, nelle ore sanguinose dell'aggressione angloamericana all'Iraq già devastato da dieci anni di embargo. Invece no, sono i giorni e le ore che attraversano adesso il nostro quotidiano. La guerra è una coazione a ripetere, l'asse ormai di una politica bipartisan che ne fa la prova costituente della capacità di governare il mondo.
Ci resta addosso l'eredità della guerra, quasi un fatto generazionale. Forse Barak Obama e i democratici vinceranno le elezioni americane. Ma cambierà qualcosa sulla politica internazionale e in tema di «interventismo umanitario», visto che Gorge W. Bush lascia in eredità un bilancio della difesa di più di 600 miliardi di dollari che supera perfino quello della Guerra fredda? E ad ogni conferma della guerra il movimento della pace, già sorprendente «potenza mondiale», entra nel cono d'ombra della sua impotenza e dei suoi troppi limiti. Come è evidente il limite rappresentato dal tentativo, per gran parte fallito, di condizionare e spostare sui contenuti della guerra e della pace l'agire del governo Prodi. Che si è dissolto e, poi, abbiamo scoperto dalle parole di lancio del Pd di Walter Veltroni che quel tentativo della sinistra era «solo zavorra». Mentre cresce il rischio, concreto, dell'astensionismo di sinistra anche a causa dei nodi non sciolti della guerra e della pace, come non parlare di tutto questo con l'uomo che considera la lotta contro la guerra l'impegno più più alto e necessario per un nuovo radicamento della sinistra? Incontriamo Pietro Ingrao a casa sua in via Balzani, dove vive oramai da più di cinquant'anni salvo le dolci estati che trascorre al paese natio. Pietro proprio oggi (ieri per chi legge) compie 93 anni: tanti auguri. Ci riceve nella stanza dove usa conversare con familiari, amici e compagni.
E' una stanza luminosa, le pareti coperte di libri ed immagini dove fanno spicco un ritratto di Laura e l'amico forse più caro di Pietro, Luigi Nono, così presto sottratto dalla morte alle sue straordinarie invenzioni musicali, e accanto a essi disegni o opere di Guttuso e Turcato. C'è poi un piccolo ritratto d'epoca: su una tribuna si vede un giovanotto (un pischelletto direbbero a Roma) magro come un chiodo; e a fianco di lui, in attesa di prendere la parola Togliatti. Noi però vogliamo parlare con lui non della guerra che aveva incendiato il mondo nel primo mezzo secolo, ma di quella che era tornata dopo, e ancora continua oggi: quasi da sembrare eterna. E avanziamo la domanda amara che più ci assilla.
C'è un evento che dura da sempre e sembra incancellabile dalla via degli uomini: la guerra, l'urto armato. C'è un libro piccino, che abbiamo amato molto anche noi che siamo venuti dopo di te, «Le lettere dei condannati a morte della Resistenza». Lo leggemmo come una straordinaria speranza. Prometteva di uscire da una catastrofe ed evocava un cambiamento radicale per i sopravvissuti. Invece la pace fu breve: come di un solo istante. E ancora oggi continua l'uccidere di massa: e non in un lembo sperduto della terra, ma in fasce cruciali del globo. E attori dell'urto sono le più grandi potenze mondiali. Perché? E perché così pochi nel mondo si pongono questa domanda?
Perché, anche dopo l'affossamento di Hitler e Mussolini e la disarticolazione degli spaventosi apparati di morte che quei due dittatori avevano apprestato, il confronto armato non è mai cessato nel globo: sia come guerre in atto in un grande continente come l'Asia, sia come costruzione di enormi apparati militari, in terra, in cielo e in mare.
Ti riferisci al conflitto che si accese in Vietnam ..?
Sì. E penso alla straordinaria opera di «supplenza» che svolsero gli Stati uniti intervenendo in guerra in Vietnam, ma anche alla guerra di Corea e allo scontro fra sovietici e cinesi sull'Ussuri. Insomma al fatale sviluppo che dalle guerre napoleoniche ha portato all'incendio dell'Asia sconfinata. Quanto al nostro paese sono stati cancellati arbitrariamente vincoli costituenti: nonostante l'art. 11 della Costituzione, l'Italia è stata coinvolta in conflitti che non avevano alcun carattere difensivo. E i custodi della Costituzione hanno taciuto. E non c'è stata nemmeno ribellione di popolo. La pace sembra impossibile o inutile. E invece non dovrebbe essere il bene primo?
Ci sono anche gli aspetti di politica interna: aumento della spesa militare in finanziaria 2007; nuove e pericolose servitù militari; adesione allo scudo di Bush; presenza militare in Afghanistan in zone ormai di guerra ma «non in guerra», e purtroppo inseriti nei comandi internazionali che determinano la guerra dei raid aerei e i suoi obiettivi in un territorio lacerato dove è miscela esplosiva la commistione d'intervento civile e militare. Per quanto possa essere avaro, c'è un ordinamento di fatto del mondo: al centro di questo sistema regolativo c'è l'atto armato, sviluppato in modo dominante: in terra, in cielo e in mare.
È un agire che si vale di un mezzo straordinario: l'uccidere di massa. Questo specifico agire - dopo la sconfitta dell'Unione sovietica - ha oggi un centro focale che sono gli Stati Uniti d'America. E tale è il ruolo regolatore e dominante con cui gli Usa intendono questo potere armato, che ad esso hanno dato persino un alto e fatale compito di prevenzione: sicché dalla guerra motivata sempre (o quasi) in termini di difesa si è passati - da parte della grande potenza americana - alla evocazione della guerra preventiva (Bush). E prevenire la guerra altrui comporta di scatenare in anticipo la guerra propria: cioè realizzare l'uccidere di massa in terra altrui. Come ha fatto Bush in Iraq, e per tutto un periodo anche l'Italia, stracciando appunto l'articolo 11 della Costituzione repubblicana.
Tu guardi ora alla tragica vicenda mediorientale. È vero però che in quel lembo del mondo si sono intrecciati - in modo che sembra inestricabile - storie e conflitti di fedi e di popoli: dalla questione ebraica alle lotte interarabe alla potenza laica turca. E su tutto sono scattati i riflessi obbligati dell'enorme questione asiatica. Su tali eventi l'incidenza delle assemblee internazionali - dalle Nazioni unite all'assemblea d'Europa - è stata quasi nulla. Tale è il mondo su cui si è fatto largo l'impero americano. In fondo l'Italia è stata un breve satellite.
Conosciamo tu ed io le dipendenze pesanti che - ancora dopo la fine del nazismo - hanno segnato il cammino del nostro paese, e quanto hanno inciso su di esso persino le grandi potenze spirituali. Eppure c'è stata una sottovalutazione, una carenza grave anche dal mondo italiano: e non sta solo nella sciagurata partecipazione alla guerra in Iraq. Sta nella lentezza e fragilità con cui abbiamo affrontato la questione in sé della guerra: dell'uccidere di massa. Certo: si trattava di ripensare la sostanza e l'insieme dell'agire politico, e quindi anche del soggetto proletario: dei processi della sua liberazione. E invece pesava e agiva ancora dentro di noi l'eredità del leninismo.
Tu sai però che larghe fasce del popolo di sinistra pensano: devo aiutare Veltroni altrimenti vince Berlusconi. E Veltroni è chiaramente un «moderato». Dunque: evitare il peggio. Come rispondi?
Penso che se si affloscia il soggetto di classe, il soggetto proletario, non c'è Walter Veltroni che tenga. Sbiadisce la grande questione per cui nel secolo milioni di lavoratori sono scesi in politica: la liberazione del lavoro. E almeno sino a questo tardo momento della mia lunga vita non rinunzio a questa grande speranza. Non sopporto l'ipocrisia di versare lacrime sugli operai assassinati della Thyssen e poi di non ingaggiare lotta contro i loro assassini. Quei caduti non possono essere dimenticati nel momento in cui il popolo italiano è chiamato a esprimere con il voto sua volontà politica: e a indicare i membri delle future assemblee parlamentari: quindi a eleggere poteri decisivi nella vita del nostro paese.
C'è oggi una discussione anche pesante su chi deve affrontare questi problemi e assumere la guida del paese. E ci sono italiani che accettano l'opzione per Veltroni ritenendolo più in grado di impedire una vittoria di Berlusconi.
Ho rispetto per Veltroni, ma lo considero dichiaratamente un moderato. E invece anche per la lotta contro Berlusconi io ritengo essenziale la forza di una sinistra di classe. Perciò sostengo i candidati della Sinistra e invito a questa scelta. E nel tempo del voto ricordo che prima di ogni altro è in questo modo che si definiscono una parte essenziale dei poteri.
Il proletariato italiano ha alleati potenziali, nel nostro paese e nel mondo, molto più di quanto pensi un Berlusconi. E le organizzazioni politiche di classe - se si uniscono - possono dilatare fortemente la loro capacità di influenza. Noi però soffriamo di un difetto grave: siamo divisi e usiamo vocabolari frantumati. Unire questa sinistra di classe: nelle speranze e nei programmi. Tale è il mio auspicio ardente. Tale è il modo alto di ridare voce, nel nostro sentire e agire, agli assassinati della Thyssen e a quei due bambini sprofondati nel fondo di un pozzo, senza più nemmeno la voce per un grido.

Bertinotti agli indecisi: nel dubbio, votate noi

Sinistra
il manifesto 31.03.2008
Federico D'Ambrosio

«Anche noi contiamo sugli indecisi e su chi ha maturato tante sofferenze». Il candidato premier della Sinistra Arcobaleno, Fausto Bertinotti ieri sera era a bari per un comizio. E da lì ha lanciato la sua nuova parla d'ordine: «Anche noi avremmo voluto che l'esperienza del Governo Prodi fosse un radicale cambiamento rispetto a Berlusconi. Invece, l'insieme delle misure positive ha deluso le aspettative di tanta gente. Delusione che noi condividiamo e che è tanta parte delle incertezze del voto, ma noi confidiamo che ciò si tramuti in un investimento positivo nella Sinistra Arcobaleno per riprendere speranza e fiducia».
Sinistra arcobaleno punta a fare il pienone in Puglia, sfruttando il successo del governatore Nichi Vendola: «Quindici giorni fa qui c'è stata una manifestazione straordinaria che, da Punta Perotti a Bari vecchia, ha visto migliaia di persone e di giovani dire no alla mafia, alla camorra, alla 'ndrangheta. Affinché il Mezzogiorno abbia un futuro, ci vuole un cambiamento radicale nelle politiche economiche e nella concezione della politica. E quindi la Sinistra Arcobaleno -ha concluso Bertinotti- è la candidata naturale a raccogliere queste domande».
Il leader della sinistra sta cercando di puntare molto sull'incontro diretto con gli elettori. Anche per questo il suo ufficio stampa ha organizzato per martedì prossimo dalle 11 alle 12,30 una webconference completamente aperta ai naviganti digitali che potranno porre domande direttamente sul sito www.sinistrarcobaleno.it, oppure inviarle già a partire da oggi.

Parliamo di donne

da il manifesto 31.03.2008
Rossana Rossanda

Siamo davanti a elezioni che si autodefiniscono costituenti, e di donne non si parla. Sono metà del paese, anzi un poco di più e in politica contano meno che in qualsiasi altro campo. Ci sono donne capi di stato e di governo nei paesi d'occidente e nei paesi terzi. Che in questi siano perlopiù moglie o figlia, orfana o vedova di un illustre defunto è un arcaismo ma, rispetto a una tradizione che non ammetteva donne al comando, è una frattura. Negli Usa l'avvocata Hillary Rodham corre anch'essa con il nome del marito, perché è l'ex presidente Clinton.
In Italia non siamo neanche a questo, e arrivarci non sembra urgente né alle destre né alle sinistre. In Francia Nicolas Sarkozy ha composto il suo governo metà di uomini e metà di donne. Più abile delle nostre maschie mummie, con tre di esse ha preso due piccioni con una fava: la maghrebina e la senegalese sono, socialmente parlando, due belve, la femminista non ha più seguito. E' vero che Sarkozy interviene su tutto e tutti, maschi o femmine che siano, ma in quanto monarca è più avvertito dei nostri.
I quali non riescono a fare fifty-fifty non dico un governo, ma le liste, lasciando al sessismo ordinario dell'elettorato di scremare le presenze femminili. Per cui sarei a proporre - non per la prima volta e come recentemente l'Udi - che le Camere siano composte metà di uomini e metà di donne. Almeno finché esiste in Italia, e non si schioda da oltre mezzo secolo, una democrazia che discrimina il genere.
Insomma il maschio politico italiano è ancora un bel passo indietro rispetto alla semplice emancipazione. E le donne italiane come sono? Ne conosciamo i frammenti minoritari che hanno accesso alla parola, i numeri muti delle statistica, le immagini tv.
Dalle quali trarre deduzioni è rischioso: piangenti, al mercato, rare imprenditrici brillanti, rare ministre, zero segretarie di partito, zero segretarie delle confederazioni sindacali (è arrivata prima la Confindustria), qualche insegnante o professionista, e una gran massa di veline, tutte carine, tutte uguali. E un valido campionamento del paese? Mah. Una volta la regione campana prese la tv così sul serio da organizzare corsi professionali per le aspiranti veline.
Tradotto in «desiderio politico», che cosa sono? Emancipate? Certo in uscita transitoria dallo stereotipo donna al focolare. Se arrivano a farsi conoscere, sono in grado di mandare a spasso un marito, salvo congruo assegno. Ma se emancipate significa che ambiscono a prendere il posto degli uomini, non direi. Le emancipate che lo ambiscono sono relativamente rare, salvo nell'insegnamento, dove costituiscono la maggioranza ma non ne reggono le redini né una riforma del sistema è stata avanzata da riconoscibili donne. Quanto alla massa di carine, sono giunte a professionalizzare (precariamente) il classico desiderio maschile e il nostro, pare altrettanto classico, esibizionismo, senza grande spesa e trasgressione. Difficile immaginare che idea di società abbiano. Come le casalinghe per scelta, sempre di meno ma con la bizzarra componente delle figlie super emancipate e disinibite dal 1968. Strana generazione, che a un certo punto sceglie di tenersi sul sicuro, cosa che mamma ai suoi tempi non ha fatto. Devono essere elettrici tendenzialmente democratiche, magari «riformiste».
Poi ci sono quelle che parlano. Anche di politica, emancipate o femministe. Il desiderio delle prime, che spesso hanno avuto un passaggio femminista light, è di affermarsi nell'arco politico esistente. Con una qualità in meno o in più dei maschi: sono capaci di «staccare». E' interessante il percorso di decine di migliaia di amministratrici locali, spesso ottime: uno o due giri da consigliere, assessore o sindaco e poi se ne tirano fuori. E non irate o deluse, ma per voglia di fare altro. Questa caratteristica è importante per capire quanto la politica conti per la donna che ci si è messa: raro che ci muoia. Sarebbe garanzia di un equilibrio? Somiglierebbe al disinteresse personale? E intanto mezzo secolo di amministratici locali hanno mutato o no il potere locale? Ne hanno modificato le regole? Accresciuto l'autonomia?
Credo di no. Non diversamente dalle istituzioni nazionali, in quelle locali le donne non hanno reclamato, e tanto meno ottenuto, cambiamenti né di fini né di regole.
Di qui il rapporto acerbo fra le femministe e la sfera politica. Inutile girarci attorno. Là dove avrebbero in via di principio un ascolto, cioè a sinistra - è stato un penoso errore da parte di un loro gruppo credere che uno spazio ci fosse a destra per via di Lady D e Irene Pivetti - i leader della medesima si spendono in parole e stringono poco nei fatti. Gli uomini di sinistra imbrogliano o si imbrogliano da sé, le donne di sinistra protestano. O da lontano, scrivendo con amarezza della irreversibile crisi della politica, o da vicino, organizzando proteste su obbiettivi indiscutibili, come la violenza, ma poco cavandone fuori. Quale dirigente maschio oserebbe dire: «Insomma, se il marito la pesta (una donna ogni tre donne viene picchiata in Francia) o le ammazza (idem, una ogni tre giorni), se la sarà cercata». Quando mai. Soltanto che nessuna gli pone in termini secchi la domanda: «Non ti chiedi perché il tuo sesso continua ad ammazzarci?». Il leader condanna sinceramente ma pensa: quelli non sono come me, sono perversi o assassini, roba da codice penale. Non lo sfiora che la brutale negazione fisica di lei abbia una parentela con la negazione simbolica che lo induce a discriminarla dalle cariche decisive («non ce la farebbe»).
In politica resta inesplorata la zona oscura del conflitto millenario fra i sessi. Soprattutto in Italia e in Francia, dove le «emancipate» che partecipano al potere eludono il tema, e le femministe, fra loro diverse, non partecipano gran che al primo e rompono i ponti sul secondo. Non è senza interesse chiedersi perché resti così profonda o, se da qualcuna praticata, irrisolta in lei stessa, la separazione fra coscienza e partecipazione femminista e coscienza e partecipazione politica. Penso alle recenti interviste sul nostro giornale di Ida Dominijanni a Judith Butler e Wendy Brown (il manifesto 25 marzo). Butler è impegnata a fondo su tutti e due i terreni, esplora la zona oscura in termini sovversivi proponendo l'intersessualità come norma - «Gender Trouble» - e prendendo di petto, e non genericamente, temi scottanti dell'attuale politica degli Usa. C'è probabilmente una diversa tradizione intellettuale, perché non è che le europee siano meno radicali; probabilmente il sistema politico americano è così precluso - per fare un presidente (o un governatore) ci vogliono centinaia di milioni e quasi due anni di campagna elettorale full-time - che la presa di parola politica non ha mediazioni con istituzioni e partiti, o si espone direttamente o non è. Insomma si interviene in politica a prezzo di impegno e competenza specifica dalla società civile, considerano milizia femminile e milizia politica un unicum, come a mio avviso realmente sono. Non investono ambedue il sistema delle relazioni?
In Italia no. Forse per il ritardo della emancipazione in presenza d'una gerarchia cattolica invadente. E' stata più la modernizzazione capitalistica della società che la politica a farla avanzare. Forse per l'essersi formato il primo e il secondo femminismo in collegamento stretto con la sinistra; il primo con il Pci e il Psi e il secondo - anche se non collegato altrettanto strettamente - con il 1968 e il rivoluzionamento che esso ha comportato nei paradigmi del politico per tutti gli anni '70, finendo con l'essere l'unica vera trasformazione culturale che ne è rimasta, minoritaria ma irreversibile. Più che in Francia e in Germania, credo.
Ma la sua contiguità originaria con il bacino «marxista» - marxista più come pratica etica ed emozionale che come elaborazione teorica, caratteristica di tutta la sinistra italiana - ha portato le donne a un corto circuito: rapido investimento e rapida disillusione, 1968 incluso, e peggio con i successivi gruppi extraparlamentari. Vibra ancora indolenzito un cordone che si è spezzato. Gli uni non capiscono le altre e viceversa, fino a ignorarsi, al di là di qualche convenevole, come se fossero due settori separati d'esperienza e competenza. (Di questo bisogna chiedere alle donne, dice lui. La politica non mi interessa più, dice lei).
Non che sia agevole fare una mappa dei gruppi femministi italiani. Proprio perché sono, mi sembra, più diffusi che altrove e frammentati si rischiano giudizi facili. Ma molto sommariamente si può avanzare che le principali posizioni rispetto al «fare» politico sono due. L'una vede nel conflitto fra i sessi una costante metastorica, o quanto meno originaria, irrisolta quanto più introiettata senza esplicitazione, certo fra gli uomini e in molta parte delle donne; e finché tale resta, il conflitto non conscio di sé mutila e conforma l'uno e l'altro sesso, reciprocamente confusi, dolenti. E ormai traversati brutalmente dalle biotecnologie che tendono a modificare la posta in gioco della riproduzione. Di qui l'oscillazione fra il rifiuto conservatore della chiesa, l'interesse alla libertà della scienza (che si presume) disinteressata, e un rifiuto femminile in nome di un diritto primario e autentico che non è riconosciuto né dalla chiesa né dalla scienza e, come ha dimostrato il referendum sulla riproduzione assistita, spesso dalle donne stesse.
La seconda posizione, all'inizio derivata da Luce Irigaray, vede più che il conflitto - il conflitto è comunque un rapporto - un'eteronomia dei sessi che darebbe luogo, fra natura e storia, a una differenza insorpassabile. E del resto perché sorpassarla? Nel momento in cui la donna spezza il presunto universalismo del maschile (il patriarcato) e si riconosce il suo sesso come principio di sé - si era fin suggerita una «specie umana femminile» - si scopre come un valore, si dà una genealogia e un ordine simbolico (materno invece che paterno), la rivoluzione è già avvenuta, il patriarcato se non finito è incrinato. A questo punto o le donne si appartano nella separatezza (la comunità dello Scamandro di Christa Wolf), o restano nel mondo intervenendovi come un complesso interelazionale autonomo, che risponde ai suoi propri principi.
Soprattutto alla seconda posizione il sistema politico, con il quale si è inutilmente incontrata e scontrata, e con esso l'intero pensiero politico della modernità appare segnato da un solo codice, quello maschile, e così il lessico, e così il linguaggio. A questo punto il dialogo appare impraticabile. Riscoprirsi nella propria interiorità svalorizza ogni pretesa di universalismo come è proprio specie della costituzione di un diritto, punto centrale della politica. L'avvertimento «non credere di avere dei diritti» volge facilmente in un «Non ce ne importa del diritto», occorre una revisione ab imis che costituisce «la politica prima». Basta guardare alla sorte delle donne entrate nella poderosa macchina delle istituzioni per aver la conferma di quel che pare un eccesso.
Ma lo stesso vale per chi non arriva a questo limite di separatezza e ha cercato di partecipare o almeno collaborare al sistema politico per non isolarsi, sperando di inserire un cuneo, un dubbio.
Qui siamo. Non sembra che le forme e le figure attuali della politica o dei partiti ne siano coscienti o almeno se ne facciano un problema. Non la destra o il centro cattolico, per i quali il problema non esiste. Non il Partito democratico, invischiato fra cultura cattolica e una laica che rinnega il passato e prende a prestito qua e là del presente non esiste. Ma non è chiaro se ne sia sfiorato quel work in progress che sarebbe la Sinistra Arcobaleno, che il Partito democratico farebbe volentieri a pezzi. Non è chiaro se ne sono coscienti neppure le culture dell'autonomia.
Ma qualcuno è disposto a sostenere seriamente che senza prender questo toro per le corna - questi tori, perché è il tema fondamentale delle relazioni che è in causa - una convivenza moderna o postmoderna si possa civilmente dare? Io non credo.