domenica 20 aprile 2008

Ferrero: “Incapaci di incidere sull’azione di governo. E l’abbiamo pagato”

L’Unità -->Aprile 17, 2008
di Eduardo Di BlasiPaolo Ferrero, ministro della Solidarietà Sociale nel governo Prodi ed esponente di Rifondazione, nell’affrontare l’analisi della sconfitta elettorale, va subito al dunque: «Abbiamo pagato il fatto che, non avendo realizzato il governo Prodi le cose che avevamo comunemente messo nel programma, molta della gente che ci aveva votato ha pensato che noi non avessimo un ruolo politico».
Lei è stato ministro di quel governo…«Io credo che il problema fondamentale sia stato sulle politiche economiche. Il governo ha attuato un enorme programma di risanamento. Il rapporto deficit-Pil è passato dal 4,6% all’1,9%. Gli accordi di Maastricht ci obbligavano ad arrivare al 2,5%. Che vuol dire che nel 2007 si potevano spendere 8 miliardi di euro in riduzione delle tasse su stipendi e pensioni, misure degli anziani, e invece non si è fatto. La logica dei due tempi, prima il risanamento e poi si vede, che ha visto realizzato solo il primo tempo, è stata devastante per noi. Come l’accordo di luglio. La sinistra è stata schiacciata, e noi siamo usciti schiacciati anche dalle urne. Legato a questo c’è il fatto che il Pd ha lavorato a fare il pigliatutto a sinistra ed è riuscito nello splendido risultato di massacrare noi e di perdere a mani basse con Berlusconi».
Tra i vostri elettori si contano molti astenuti, e diversi che hanno votato Lega… «Quando dico che non siamo riusciti a segnare l’utilità sociale della sinistra intendo anche questo…».
Come farete adesso a ritrovare una funzione politica senza rappresentanza parlamentare?«Dobbiamo ripartire dal sociale. Perché credo che le contraddizioni sociali siano destinate ad aumentare: siamo in una fase non certo di sviluppo e la destra farà politiche non positive per le classi lavoratrici. Le contraddizioni sono destinate ad aumentare. Dobbiamo cominciare da lì. E penso che questa è una partita che ci giochiamo in diretta concorrenza con la destra, perché il rischio che abbiamo è che al peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro possano portare a dinamiche di guerra tra poveri o a soluzioni neocorporative in cui ognuno si aggiusta come può con il proprio datore di lavoro. Il nostro problema è nel costruire dei percorsi che invece diano uno sbocco nei termini di ripresa di un conflitto di classe, o, se vogliamo, di un conflitto del basso contro l’alto».
Nichi Vendola afferma che il simbolo della Sa sia stato avvertito solo come un logo che copriva roba vecchia… «A me non convince la dialettica nuovo-vecchio come spiegazione. Credo che il nostro problema sia che non siamo riusciti a mostrare una nostra utilità sociale».
Per rilanciare questa lotta del basso contro l’alto, questo simbolo può essere rimesso in campo?«Rimane intatto il problema dell’unità a sinistra e della valorizzazione di tutte le forme in cui si partecipa politicamente. Io ritengo si debba cercare un percorso partecipato e costruito perché è evidente che quello della Sa, così come l’abbiamo fatto, non ha funzionato. E credo si debba fare un percorso che parta più dal basso e più ragionato. Spesso viene fuori la parola “accelerazione”. Io penso che le accelerazioni, quando si è pestato la testa contro il muro, non sono una buona soluzione. Così come ritengo sbagliato l’arroccamento. Sono due reazioni sbagliate alla sconfitta. C’è un problema di radicamento sociale, e di riflessione anche sulle forme. In questo quadro la mia idea è che le forze politiche che ci sono non siano un ostacolo ma una risorsa. E quindi credo sia sbagliato porre il tema dello scioglimento dei partiti o dell’unità “con chi ci sta”».
Resta il problema dei tempi…«Dopo una scoppola del genere bisogna partire subito, e credo che l’appuntamento di sabato a Firenze, quello convocato da Ginsborg, così come il nostro comitato politico di sabato e domenica siano dei punti di passaggio importati».
La strategia di Rifondazione di portare i movimenti al governo del Paese, Iei la giudica fallita…«Naufragata. Per due elementi. Da una parte le forze della sinistra moderata non sono state coerenti con quanto scritto nel programma. I poteri forti su tutti i punti decisivi sono stati più forti di noi. Il secondo è che mi aspettavo che le organizzazioni sindacali giocassero un ruolo di difesa forte della loro parte».
In che senso?«Penso alla redistribuzione del tesoretto, ma soprattutto all’accordo sul Welfare. Di fronte a un accordo sindacale che chiedevamo di migliorare, sono rimasto impressionato che le organizzazioni sindacali dicessero “non si tocca”».
C’era stato il referendum dei lavoratori…«Ma se noi l’avessimo migliorato, secondo lei, quei 5 milioni di lavoratori che hanno votato “sì” avrebbero votato “no”?».
Però il fatto che si fossero pronunciati significa in qualche modo che la pensavate in modo diverso… «E forse lo si vede anche dal voto di oggi. Nel senso che non mi sembra che il Pd tra i lavoratori sia andato quell’ira di dio. Chi a Miraflori aveva fischiato Cgil, Cisl e Uil a dicembre 2006, non credo abbia votato tanto a sinistra».

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