lunedì 22 settembre 2008

I governatori anti-Evo battono in retromarcia

BOLIVIA IN FIAMME
il manifesto 18/09/2008
Con la solidarietà di nove presidenti sudamericani, Evo costringe la centrale dei ribelli a firmare l'armistizio. E gli Stati uniti mettono La Paz nella lista nera del narcotraffico Il sostegno dell'Unasur al governo boliviano costringe all'armistizio gli «autonomisti». E arriva la reazione Usa
Roberto Zanini

Tocca a Ruben Costas, il prefetto autonomista ribelle di Santa Cruz, sancire l'armistizio dei «civicos». Dopo una settimana di alzamiento , di scontri, di occupazioni, di roghi di uffici pubblici, di bastonature e di morti ammazzati, la ribellione della mezzaluna ricca e criolla contro Evo Morales, il suo governo e il suo movimento, tira il freno e accetta di fare quello che non avrebbe mai pensato di dover fare: sedersi al tavolo con il macaco minor , la scimmia piccola (il macaco mayor è Hugo Chavez), l'odiato indio inspiegabilmente diventato presidente, Evo Morales. Tanti, i morti ammazzati. Almeno 15 solo a Porvenir, la cittadina della provincia di Pando in cui i miliziani del peggiore dei prefetti ribelli, Leopoldo Fernandez - uno con legami col narcotraffico e con racconti di corruzione da accapponare la pelle - venerdì hanno teso un'imboscata a una marcia di campesinos: franchi tiratori sugli alberi e killer armati che hanno aggredito una folla, inseguendo i contadini come bestie da macello, facendo il tiro a segno con donne e bambini. I sopravvissuti hanno raccontato l'eccidio ieri nel parlamento di La Paz, Canal 7 ha trasmesso un video straziante: gente che fugge, uomini e donne che si gettano nel fiume Tahuamanu per sfuggire agli assassini, le urla dei killer in sottofondo: «Eccoli là, là, ci sono altri indios!», e giù fucilate. Il ministro dell'interno Alfredo Rada ha fatto i conti in pubblico: «Il quadro è questo - ha detto - 15 morti confermati e identificati, 30 feriti confermati e identificati e 106 desaparecidos che secondo i testimoni sono feriti e rischiano la vita». Il prefetto Fernandez è stato arrestato. Per violazione della legge marziale proclamata a Pando, e non per il massacro, ma è stato arrestato. Un plotone di militari è andato a prenderlo nella sede della sua prefettura. I soldati hanno parlamentato senza nemmeno cacciare fotografi e telecamere, poi l'hanno caricato - lui e altri dieci «civicos» di Pando - e l'hanno portato in una caserma a Oruro. «Verranno a liberarmi», ha detto mentre lo portavano via, e in effetti sono fioccate alcune blande dichiarazioni di solidarietà, ma ormai il vento era cambiato, la rivolta dei prefetti aveva rallentato, alcuni già trattavano con il governo di La Paz. Il vicepresidente Garcia Linera si è incaricato dei contatti con la centrale dei ribelli, la Conalde, il Consejo nacional democratico, la sigla in cui si riconoscono gli organismi degli autonomisti. Nella notte di ieri Morales approva un testo, due viceministri lo firmano, viene trasmesso a uno dei prefetti ribelli, Mario Cossìo di Tarija, perché lo passi agli altri. Cossìo ne parla invece col cardinale Julio Terrazas - la chiesa ufficiale è schieratissima coi prefetti - e con il prefetto di Santa Cruz Ruben Costas, il vero capo dei ribelli. I prefetti provano a diluire la resa in uno show mediatico, vanno in tv a rifirmare un loro vecchio documento invece di quello del governo, ma Morales e Garcia Linera resistono: o il nostro testo o niente. E Costas alla fine rende pubblico di aver firmato. Poco dopo piega la testa anche Cossìo, e dopo di lui tutta la Conalde. Il prefetto arrestato Fernandez non serve più, il governo annuncia che pensa di sostituirlo e nessuno protesta. La rivolta, forse, è finita. I civicos cominciano ad abbandonare le sedi pubbliche occupate (e spesso devastate) nel loro Oriente, l'esercito circonda senza resistenze le installazioni petrolifere, le sedi di radio e tv pubbliche, gli aeroporti. I militanti di Morales - schierati con i volti coperti e nelle mani bastoni e vecchio schioppi di qualche rivolta fa, più qualche fucile a pompa smobilitano i blocchi stradali con cui avevano cominciato a chiudere le vie di comunicazione per la mezzaluna autonomista. La tregua sembra tenere. Tre tavoli di lavoro: l'imposta sugli idrocarburi, che Morales ha tolto alle prefetture per finanziare la pensione nota come Renta Dignidad, colpendo gli autonomisti nelle tasche, e poi un tavolo sulle autonomie e uno sulla nuova costituzione, approvata con un atto di forza dalle sole forze politiche alleate di Morales, che il presidente vuole sottoporre a referendum al più presto. Un voto visto come la peste da un po' di tempo Evo vince tutte le elezioni - dai ribelli, perché ne sarebbe la lapide. E loro lo sanno. Appuntamento a Cochabamba, anche da oggi dice Morales, ma i ribelli chiedono più tempo. Non c'è un vero vincitore e non c'è un vero vinto, i drammatici problemi della Bolivia non sono risolti, ma Morales è scampato a una specie di golpe civile ed ora è un po' più forte, i prefetti ribelli hanno provato a fare la guerra, hanno fallito e sono un po' più deboli. Sui giornali, quasi tutti della destra, cominciano a uscire critiche persino contro Branko Marinkovic, l'imprenditore boliviano-croato che è un po' il deus ex machina della ribellione. Il giorno prima, l'Unasur - l'Unione degli stati sudamericani - aveva approvato un documento di solidarietà al governo boliviano, con 9 voti su 12. Un aiuto fondamentale per il presidente Morales, seduto su una polveriera, ma non era andato tutto liscio e il brasiliano Lula aveva imposto condizioni (smettere di insultare gli Stati uniti, tra le altre) e chiesto a brutto muso a Morales se era intenzionato a andare avanti a tutti i costi oppure no. Gli Usa, da parte loro, hanno prontamente iscritto la Bolivia (e già che c'erano anche il Venezuela) alla lista nera dei paesi che non lottano contro il narcotraffico. Il dipartimento di stato non ha digerito l'espulsione dell'ambasciatore Goldberg, e un portavoce ha criticato l'imminente esercitazione di navi russe nelle acque dei Caraibi: «La cosa più interessante - ha motteggiato Sean McCormack - è sapere se la Russia troverà ancora qualche nave in grado di arrivare fino in Venezuela. Mi hanno detto che hanno un gommone, se per caso si dovessero guastare lungo il viaggio». È sarcasmo, ma il «cortile di casa» americano esiste un po' meno ogni giorno che passa.

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