lunedì 24 marzo 2008

Anche l'Italia inquina con l'elettronica

il manifesto 20.03.2008

I problemi del riciclo tricolore
La responsabilità passa dai Comuni alle aziende e agli esercizi commerciali, ma la gestione del rifiuto hi-tech resta tormentata. E il consumatore paga l'eco-contributo. La denuncia di Altroconsumo
n . b.

Ogni italiano produce 14 kg di spazzatura elettronica l'anno. Secondo i dati dell'Apat, l'agenzia governativa che si occupa della protezione dell'ambiente, attualmente si riesce a raccoglierne solo 1,8 kg per abitante. Non si ha alcuna notizia, invece, dei restanti 12 chilogrammi: finiscono nei cassetti e nelle cantine? Vengono inceneriti insieme ai rifiuti indifferenziati? Oppure sono spediti sottobanco in Cina e in Africa? Non dobbiamo stupirci se, tra i 100 mila computer che ogni mese sbarcano a Lagos, gli attivisti di Basel Action Network hanno ritrovato anche macchine provenienti dall'Italia. Fino ad ora la gestione dei rifiuti tecnologici spettava ai comuni che, in teoria (ma molto in teoria) dovevano preoccuparsi di predisporre appositi cassonetti nelle eco-piazzole della raccolta differenziata. Fatto sta che su questo fronte non c'è mai stato un serio impegno, e i numeri dell'Apat parlano chiaro. Ma dallo scorso 20 novembre, almeno sulla carta, le cose sono cambiate: in Italia è entrato in vigore il decreto RAEE che, dopo anni di fasi transitorie e decreti milleproroghe, recepisce la normativa europea in materia. La direttiva RAEE impone una rivoluzione radicale nella gestione dei rifiuti di apparecchiature elettroniche, introducendo il principio del «chi inquina paga». In questo modo la palla passa dai comuni alle aziende produttrici, che sono tenute ad organizzarsi in consorzi e a finanziare l'intero ciclo di recupero. I prodotti obsoleti potranno essere depositati presso i normali punti-raccolta (ammesso che ci siano nella vostra città), ma del ritiro e dello smaltimento dovranno occuparsi i nuovi consorzi. La vera novità è però un'altra: quando si acquista un nuovo apparecchio, i negozi sono obbligati a ritirare l'usato secondo il principio di scambio 1 a 1. E cioè se si compra un pc, si potrà consegnare anche il vecchio computer. Se il negoziante si rifiuta, sono previste sanzioni amministrative dai 150 ai 400 euro. Il servizio di ritiro in parte lo stiamo finanziando anche di tasca nostra, attraverso il cosiddetto "eco-contributo" imposto su ogni nuovo prodotto elettronico acquistato. In media si tratta di 5 euro per una lavatrice, 3,5 euro per un televisore, 20 centesimi per una stampante, 5 centesimi per un lettore mp3. Nelle intenzioni del legislatore, questo sistema di responsabilità condivise dovrebbe portare a recuperare ben 4 Kg di rifiuti elettronici per abitante entro la fine del 2008. E, al tempo stesso, incentivare i colossi dell'elettronica alla produzione di apparecchi più facili da riciclare, cosa che in piccola parte sta già avvenendo. Fin qui il quadro normativo a cui, ovviamente, non sta affatto corrispondendo un'adeguata applicazione. Non tutti gli esercizi commerciali si sono dotati per tempo di spazi per la raccolta del RAEE. E così c'è stata un'ulteriore proroga della norma per la consegna nei negozi, che per il momento resta facoltativa. Allo stesso tempo, non sono state promosse campagne di comunicazione efficaci per informare sulle nuove disposizioni, mentre un po' tutte le aziende si sono premurate di applicare da subito l'eco-balzello. «Come al solito - denuncia l'associazione Altroconsumo - produttori, distributori e il governo stesso fanno i loro comodi, mentre i consumatori stanno già pagando per un servizio la cui entrata in vigore continua a slittare». Altra complicazione: come si fa a restituire un apparecchio usato in caso di acquisto online? «La soluzione più praticabile - spiegano gli esperti di Altroconsumo - sembra essere la consegna a una piazzola ecologica, con il paradosso però di pagare l'eco-contributo sul prodotto nuovo per un servizio di ritiro dell'usato che non è fruibile».

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