sabato 29 marzo 2008

Viaggio a Tent city tra i neo baraccati

il manifesto 26.03.2008
Finire in tendopoli Con la crisi dei mutui, negli Stati uniti sempre più persone perdono la casa. Alla periferia di Los Angeles è sorta una tendopoli di nuovi homeless, mentre le agenzie immobiliari si buttano sulle case pignorate
Luca Celada
Los Angeles

Sono le undici del mattino in questa tendopoli schiacciata fra i binari della Southern Pacific e la pista dell'aeroporto di Ontario, nell'hinterland di Los Angeles. Il sole è già rovente e le operazioni di sgombero procedono con relativo ordine. Un dozzina di agenti della polizia tiene d'occhio le cinquanta persone che fanno la fila davanti a una tenda marcata «registration». Al banco danno nome, cognome ed estremi anagrafici al funzionario che registra e, in base alle risposte, assegna bracciali di plastica di diversi colori: bianco approvato, rosso respinto, viola ulteriori accertamenti necessari. Il municipio di Ontario ha deciso che solo chi dimostra una «trascorsa residenza» (diabolico requisito per chi è per definizione senza fissa dimora) nella città potrà rimanere nell'accampamento aperto lo scorso autunno per ospitare i senzatetto e la cui popolazione da allora è cresciuta fino a oltre 400 persone che si dividono l'acqua di due pompe da giardino, sei bagni portatili e alcune docce fredde da campo.
La nuova depressione
Lo sgombero, la polvere e la spazzatura sono gli stessi di un qualunque accampamento di marginalità urbana; ma qui riportano alla mente anche quello in cui arriva la famiglia Joad dopo aver attraversato l'America sul proprio camion scassato in Furore, nell'adattamento di John Ford del romanzo in cui John Steinbeck raccontò la grande depressione e i suoi effetti devastatanti sulle famiglie americane. I Joad erano oakies, transfughi della devastazione del dust bowl nel Midwest e quando, come migliaia d'altri, giunsero infine nell'anelata California, si ritrovarono in un campo profughi affollato di famiglie disperate e bambini denutriti a San Bernardino, cioè proprio a un tiro di schioppo da Tent City che, 80 anni dopo, ne reincarna i fantasmi. E ha anche il suo Tom Joad: è Michael, sulla quarantina, alto e magro, faccia abbronzata e barbuta, occhi intensamente verdi che sembrano quelli di Henry Fonda.
«Ma ti pare giusto?» mi dice, «15 anni di esercito, al servizio del mio paese e ora mi mettono un bracciale al polso e mi dicono che devo andarmene» aggiunge mostrando il nastro di plastica rossa che segna il suo destino, «manco fosse la Gestapo». «Stampa italiana, eh?» aggiunge adocchiando il mio tesserino, «mi ricordo la Rai, la guardavo sempre da bambino, quando con mia madre viaggiavamo per l'Europa».
Michael racconta una storia romanzesca, un'infanzia passata con la madre psicologa sempre in viaggio, spesso in barca fra Rodi e Santa Maria di Leuca, una scuola in Svizzera poi a Londra. È difficile capire quanto ci sia di vero, ma intanto passa dall'inglese all'italiano al francese allo spagnolo, perfetto e con inconfondibile cantilena messicana. «Uscito dall'esercito stavo male, non ci stavo con la testa, mi facevo, finché ho deciso di ripulirmi, andare in Messico, ricominciare da zero. Per dieci anni ho abitato in una fattoria; laggiù ho una moglie, campi, capre. Poi un paio di anni fa sono tornato qui nel mio cosiddetto paese. Voglio alzare un po' di soldi, da due anni ogni mese faccio un vaglia di 100 dollari a mia moglie». In altre parole, come milioni di messicani, Michael, veterano, bianco, sussiste nel norte: un'esistenza marginale e invisibile in cui lavorare non vuol dire necessariamente potersi permettere una casa.
Tent City gli offriva una tenda, un posto per dormire e un senso di comunità; ora è tornato senzatetto di categoria «b», dovrà arrotolare la tenda e tornarsene per strada, sotto i cavalcavia, ovunque purché - come ha decretato la giunta di Ontario - sia fuori dal territorio cittadino. «15 anni di esercito», commenta amaro Micahel, «e ora il mio nemico è il mio paese. Ma come si fa a combatterlo?».
Mentre la maggior parte dei suoi residenti sono stati dispersi, Tent City ha acquistato notorietà. I giornali locali hanno seguito la vicenda; sono passate troupes della tv francese e inglese, una foto del campo è apparsa sul New York Times per illustrare un articolo che paragonava l'attuale crisi economica alla grande depressione. Come i campi profughi di Furore, Tent City è diventata il simbolo della crisi - un subprime village per quelli che hanno perso la casa, ipotecata dalle banche dopo che il mutuo capestro si è rivelato troppo caro. La realtà non è esattamente quella dipinta dai media, una manciata di persone che avevano perso la casa da poco c'erano a Ontario, ma la stragrande maggioranza erano homeless «cronici», veterani, tossicodipendenti, psicolabili, gente caduta da un pezzo attraverso i pochi brandelli di sicurezza sociale residui e andata a ingrossare un popolo della strada che nella sola contea di Los Angeles annovera oltre 120 mila persone.
Tendopoli spuntano a downtown Los Angeles, San Francisco, Fresno, Sacramento, nei canyon c attorno a San Diego. La verità è che qui, come in ogni città americana, vive una classe invisibile, abbandonata a se stessa. «Cerchiamo di fare quel che possiamo per loro», mi spiega la coordinatrice delle Catholic charities, che a Tent city gestisce, quando può, la distribuzione di generi alimentari, «ma i problemi sono strutturali. Per questa gente non esistono reti di sicurezza e il problema si aggraverà ora che sempre più persone sono destinate a perdere la casa».
Per la crisi dei mutui subprime, nel paese più ricco e potente del mondo è destinata a dilatarsi la scandalosa moltitudine di cittadini che pernottano in automobili, su marciapiedi, in scatole di cartone, a volte coi figli, spesso con un lavoro e però sotto la soglia della povertà. La casa è l'epicentro della crisi di un'economia che ha scoperto di aver basato un decennio di espansione su un bluff, quello dei mutui che hanno drogato lo sviluppo con massicce dosi di ricchezza virtuale prelevate dalla bolla immobiliare. Una speculazione gigantesca con la connivenza della finanza che ha piantato i pilastri dei colossi di Wall Street nell'argilla del precariato marginale, della new poverty. Un intero settore è nato attorno al business del credito proditorio, della vendita di case a chi non avrebbe mai potuto permettersele, con promesse di mutui capestro a basso tasso d'interesse iniziale ma con giganteschi costi nascosti, pagamenti «pallone» destinati a scattare pochi anni dopo, affogando i mutuatari.
Il tour dei profittatori
Milioni di questi mutui subprime sono stati poi venduti dai creditori originali in pacchetti con eufemismo definiti «prodotti finanziari innovativi», via via ad altre banche e fondi di investimento, «ripuliti» e passati di banca in banca, spargendo il virus in fondi ed hedge funds, risalendo la china dall'immobiliare loffio di periferia alla finanza rarefatta di Wall Street. Riciclaggio insomma. Se non di denaro, di «cattivo rischio» sempre più diluito e lontano dalle sue equivoche radici.
Operazioni al limite della truffa che sono figlie morali della deregulation dell'era Enron e Halliburton e che ora hanno pagato i dividendi di un'economia della povertà, un liberismo rapace e neo reaganiano che mette in conto una classe permanente di senzatetto mentre sgrava le tasse ai ricchi, tende trappole ai poveri e avalla l'economia ombra delle grandi corporations finanziarie che operano al di fuori di ogni regulation. Oggi, dopo il collasso, il debito collettivo delle ipoteche supera di 839 miliardi di dollari il valore complessivo dei beni immobili e il parere maggioritario degli addetti è che siamo solo gli inizi. Non che ci sia bisogno di esperti per confermare l'attuale stato delle cose - basterebbe iscriversi a uno delle dozzine di foreclosure tours («foreclosure» è l'esproprio di una casa da parte della banca creditrice quando il mutuo va in sofferenza: e nei prossimi 12 mesi sono previste un milione di nuove foreclosures).
I «tour» organizzati da agenti immobiliari partono ogni settimana dalle principali città americane caricando potenziali compratori alla ricerca di una affare imperdibile nelle periferie punteggiate di case ipotecate - una nuova speculazione sul sogno americano. Intanto a Tent City si sbaracca. Come dice Michael: «A noi, a tutta questa gente, basterebbe ridare una misura di dignità, come fece Franklin Roosevelt quando rimise in piedi questo paese e fece tornare la gente al lavoro. È tutto quello che chiediamo».

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