martedì 25 marzo 2008

Nella Colombia di Uribe, caccia alle streghe contro gli oppositori

il manifesto 23.03.2008
Sindacalisti uccisi, attivisti umanitari sequestrati, altri costretti a lasciare il paese per sfuggire ai killer, che trovano adepti anche fuori dai confini
Guido Piccoli

Chi vuol capire cosa sia il terrorismo in Colombia non si distragga proprio ora. Dopo la grande mobilitazione contro i crimini paramilitari e militari che ha fatto da contrappeso alla mobilitazione del 4 febbraio (sponsorizzata dal governo e diretta contro un solo delitto, il sequestro, e un solo colpevole, le Farc) si è aperta ufficialmente la caccia ai suoi organizzatori.
Finora sono stati ammazzati quattro sindacalisti e due consiglieri comunali mentre altri sono scampati agli attentati e due attivisti umanitari sono stati sequestrati. Intanto sono decine i minacciati di morte che stanno tentando di sfuggire ai killer, nascondendosi nel paese o chiedendo asilo politico lontano dalla Colombia. Tra di loro, il «camminante per la pace», il professor Gustavo Moncayo, padre di un capitano prigioniero delle Farc da 11 anni, e Iván Cepeda, leader del Movimento delle vittime del terrorismo di stato e figlio dell'ultimo senatore comunista ucciso nel 1994. Personaggi conosciuti anche in Vaticano e alla Farnesina, da dove dovrebbero partire immediati appelli al governo di Bogotà per chiedere di fermare la sanguinosa rappresaglia in atto. Comunque si definiscano o vengano chiamati i sicari («forze oscure», Autodefensas unidas de Colombia e adesso «Aguilas negras»), i mandanti sono comunque rintracciabili allo stesso indirizzo: Palacio Nariño, Carrera Settima, Bogotà. Uno su tutti: José Obdulio Gaviria, il consigliere più vicino del presidente Alvaro Uribe. Colui che è considerato il Richelieu di corte e risulta cugino del defunto boss Pablo Escobar Gaviria, ha accusato gli organizzatori della mobilitazione del 6 marzo di essere delle Farc. Nessuno nel governo, tanto meno Alvaro Uribe, lo ha zittito e tutti i media hanno fatto da megafono ad una segnalazione che in Colombia equivale a una condanna a morte.
La storia quindi si ripete. Mentre lo Stato combatte la guerriglia, si gloria di aver eliminato il suo rappresentante con maggiore esperienza internazionale, Raúl Reyes, e di avere così bloccato la possibilità di un accordo umanitario, i paramilitari si occupano, a loro modo, della società civile. Secondo Uribe in Colombia non c'è spazio per terzi: «O con lo Stato o con la guerriglia». Ad arroventare il clima concorrono vari elementi. Innanzitutto, l'impressione (o l'illusione) della prossima «fine delle Farc», che vieta ogni genere di defezioni. E poi la sensazione dell'assedio e dell'isolamento della Colombia, non solo da parte del «mini-asse del Male», guidato dal Venezuela di Chávez (e comprendente Ecuador, Bolivia, Nicaragua e Cuba), ma anche dal resto dell'America latina, com'è risultato evidente, durante la crisi provocata dal bombardamento che ha ucciso, tra gli altri, Reyes. Il ricompattamento dell'oligarchia tradizionale con quella mafiosa, le esternazioni filo-governative degli alti prelati (come quella sanguinaria sull'uccisione di Reyes da parte dell'ex presidente della Conferenza Episcopale, Pedro Rubiano) e il totale allineamento di tutti i media che continuano a reclamizzare una popolarità di Uribe al 90% (ottenuta da ridicoli sondaggisti di regime) mette in difficoltà anche l'opposizione rappresentata dal Polo Democratico Alternativo, diviso proprio sull'atteggiamento da tenere rispetto alle Farc.
Uribe sembra trovare adepti anche fuori la Colombia. La presenza di alcuni giovani universitari messicani nell'accampamento di Reyes (cinque dei quali uccisi, mentre una studentessa è stata ferita) ha alimentato una caccia alle streghe contro tutte le organizzazioni di dissenso al neo-liberismo in America Latina. Puntualmente, due giorni fa, nella città peruviana di Iquitos sono stati arrestati due presunti guerriglieri delle Farc che, secondo il capo della polizia Octavio Salazar, sarebbero entrati in Perù col compito di «destabilizzare il paese», appoggiando le manifestazioni contro la privatizzazione dell'Amazzonia e organizzando il boicottaggio del vertice tra l'Europa e l'America latina e il Caribe di metà maggio. I movimenti popolari peruviani e la rete bi-continentale di Enlazando Alternativas, che vuole promuovere relazioni politico-economiche eque tra i paesi europei e quelli latinoamericani, rischiano di vedere applicata anche su di loro la ricetta Uribe.

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