giovedì 20 marzo 2008

Intervista all'economista Paolo Leon

da liberazione 18/03/2008

Intervista all'economista Paolo Leon dopo un'altra giornata disastrosa su tutti i mercati finanziari
«Senza un accordo sui flussi di capitale e la ripresa dell'intervento pubblico, non si ferma la recessione» «Europa, frena la Finanza
o ci sarà un crollo planetario»

Sabina Morandi
La Federal Reserve taglia il tasso di sconto per i prestiti alle banche. Ma le Borse precipitano. Dopo i pesanti cali dei mercati in Asia, i listini europei hanno chiuso con cali compresi tra il 3 e il 4%. In profondo rosso anche gli indici di Wall Street. Insomma, se la mossa della banca centrale Usa doveva rasserenare il clima ha fallito il suo obiettivo. Non è solo una crisi passeggera: la bolla speculativa scoppia perché l'economia non cresce. Ma all'Europa mancano gli strumenti per affrontare la congiuntura che viene arginata con le solite ricette. Ne abbiamo parlato con Paolo Leon, professore di Economia pubblica all'Università di Roma III.
Stiamo assistendo allo scoppio dell'ennesima bolla speculativa oppure siamo in presenza di qualcosa di più grave?
La crisi è drammatica perché lo scoppio della bolla speculativa è determinato dall'improvvisa realizzazione, da parte degli operatori, che i titoli di credito scambiati in borsa non possono evitare di vedere il loro valore legato alle attività che sono state originariamente finanziate. Insomma, i famosi titoli derivati, il cui valore non è legato a niente e non sono quindi rappresentativi di quello che succede in realtà, appena la realtà mostra un segno di crisi vanno in difficoltà. Ma va chiarito che la recessione non è causata dalla crisi della finanza, al contrario la finanza va in crisi perché c'è la recessione.
Qual è la differenza rispetto alla bolla del 2000?
Allora le economie degli Stati Uniti, dell’Europa, della Cina e dell’India crescevano, anche se di poco, adesso no. E poi c’è un’altra questione: essendo venuta meno la fiducia nei titoli rappresentativi delle attività industriali, la liquidità disponibile si sta riversando sulle materie prime, anche quelle alimentari. I prezzi non sono aumentati perché la produzione è diminuita
oppure perché la domanda è aumentata ma perché in Borsa vengono scambiati titoli rappresentativi dei futuri prezzi delle materie prime, e siccome c’è tanta domanda di questi titoli, perché tutti gli altri valgono poco, allora crescono i prezzi anche se la produzione non diminuisce. E’ vero che, per quanto riguarda il prezzo dei cereali, incide anche la domanda per i biocombustibili, ma sono ancora quantità insignificanti rispetto alla produzione cerealicola generale.
La stessa cosa si può dire del petrolio…
Non c’è dubbio. Il problema della scarsità materiale prima o poi ci sarà, ma non è questo che ha spinto il prezzo oltre i cento dollari al barile. Il problema è che la bolla finanziaria, esplosa perché le attività economiche crescono poco o niente, non è affatto finita perché si è riversata sulle materie prime. Ma, anche se è dovuto a manovre finanziarie, l’aumento del prezzo delle materie prime per chi le consuma è reale e quindi aumenta l’inflazione.
Se, come fa la Banca europea, si combatte l’inflazione solo con una restrizione monetaria, mantenendo stabili i tassi d’interesse, si può frenare l’inflazione però si riducono i tassi di crescita
dell’economia che a sua volta, proprio perché rallenta, alimenta l’inflazione.
Qual è la differenza fra quello che sta facendo la Fed e quello che sta facendo la Banca europea?
La Fed sta facendo un’azione progressista perché abbassa i tassi mentre la Bce, insistendo su di una politica di tassi bloccati, è più reazionaria. Gli americani sperano che lasciando ancora scendere il valore del dollaro, le merci nazionali saranno avvantaggiate e importare converrà di meno. Personalmente credo che sbaglino considerando il livello di deindustrializzazione del paese ma, indubbiamente, un certo effetto abbassando i tassi si ottiene, anche se al prezzo di un’inflazione più alta.
Eppure queste misure, compreso il salvataggio della Bear Stearns deciso ieri, non hanno affatto frenato il calo delle Borse mondiali. Per quale motivo?
Perché le Borse presumono che la crisi sia molto più estesa. È l’effetto annuncio:
se tu salvi una banca vuol dire che molte banche sono in difficoltà perché altrimenti non sarebbero intervenuti.
Insomma, il fatto stesso di salvarla è un segnale di debolezza o comunque rivela la preoccupazione della Fed sulla tenuta di altre banche. Il comportamento di Bernanke è criticato dalla Banca europea ma non dalla Banca inglese visto che il governo inglese a sua volta ha salvato una banca nazionalizzandola.
Cosa accadrà ora?
Bisogna capire cosa ha intenzione di fare la Cina. Presumibilmente fino alle olimpiadi non farà nulla per non essere oggetto di uno scontro troppo duro, però è difficile che possa sopportare a lungo che le proprie riserve in dollari valgano il 40 per cento in meno che se fossero in euro. Insomma è come buttare i soldi dalla finestra... Del resto già due anni fa la Cina ha diversificato
il paniere di monete, e adesso probabilmente dovrà fare un’altra manovra del genere. Ma se questo accade, e se i cinesi dovessero acquistare una quota più grande di euro, il dollaro crollerebbe causando una crisi generale.
Tutti abbiamo dollari, anche la Bce: se il dollaro dovesse scendere di un altro 30-40 % avremmo un crollo planetario.
Ho l’impressione che finché qualcuno non si dà da fare - in Europa come in Cina, in India o anche nel Fondo Monetario - per arrivare a un accordo generalizzato sui flussi di capitale, la crisi non si risolve. Ma bisogna che qualcuno ad altissimo livello si prenda la responsabilità di dire che siamo sull’orlo del burrone…
C’è anche il problema dei petrodollari. Un fuori onda imprevisto all’ultimo vertice Opec ha rivelato la preoccupazione dei paesi produttori. E anche noi, perché non cominciamo a pagarlo in euro?
Perché se avvenisse il dollaro si svaluterebbe ancora e il valore dell’euro aumenterebbe del 30-40% distruggendo il nostro export. Si può competere non pagando i lavoratori ma c’è un limite, come si vede in tutta Europa. È vero che i paesi produttori hanno al momento un’enorme liquidità e temono giustamente l’effetto della recessione, che alla fine inibisce la domanda di
energia e fa crollare il prezzo del greggio.
Da qui l’intensa attività dei fondi sovrani, ovvero l’accumulo di risorse finanziarie dei paesi petroliferi che stanno cercando di diversificarsi con l’acquisto di industrie europee o americane.
La cosa può destare qualche preoccupazione di stampo nazionalista, ma ricordo che Agnelli l’aveva già fatto, in tempi non sospetti, quando la Libia comprò azioni Fiat. Naturalmente
ci può essere qualche distorsione se parliamo dell’acquisizione di centrali nucleari o altri settori strategici. Ma i fondi sovrani vogliono arricchirsi e premunirsi rispetto al crollo del prezzo
del petrolio e alla svalutazione del dollaro non fare guerre, e credo quindi che bisognerebbe offrire opportunità per attirarli, non certo respingerli.
Cosa dovrebbe fare l’Unione europea?
Prima di tutto bisognerebbe avere la forza e il consenso per mettere in pratica delle misure, ma oggi la Comunità europea non ha alcun potere in tal senso, e questo è estremamente rivelatore.
L’unica autorità esistente è la Banca centrale europea che ha i fondi derivanti da emissione di moneta. La Comunità europea, invece, ha fondi derivati dalla finanza pubblica di ciascun paese, paesi a cui la Comunità stessa dice di risparmiare più possibile. La precondizione per attuare delle politiche europee di sostegno alla domanda, che secondo me è ciò che occorre fare, è risolvere questo enorme vuoto: abbiamo un Parlamento, una Commissione un Consiglio europeo ma non
abbiamo uno Stato europeo capace di intervenire sull’economia. Per esempio:
se l’Europa stabilisse un salario minimo europeo obbligatorio di 1000 euro uguale per tutti, dalla Lettonia alla Polonia, dalla Spagna all’Italia, l’economia verrebbe rimessa sicuramente in moto. Ma quali sono le politiche economiche anti-crisi che l’Europa può mettere in campo? In questo momento nessuna perché l’Europa ha sempre pensato che questo sia il compito dei singoli Stati, ai quali però chiede di adottare finanze pubbliche restrittive.
E’ questo che dovrebbero chiedere le sinistre europee perché ciascuno Stato preso singolarmente può solo utilizzare i margini che gli derivano dal non rispetto del patto di stabilità interno. Francia, Germania e Italia potrebbero portare tutti i disavanzi al 3%, lasciando crescere il debito. Allora
la spesa pubblica – o la riduzione delle imposte, non fa differenza – potrebbe avere un effetto determinante sulla crescita.
Che succederà in America?
Indubbiamente chiunque verrà eletto si troverà con un disavanzo pubblico che è già gigantesco, e avrà molte difficoltà a mettere in opera misure di rilancio dell’economia, però potrebbe fare una guerra che ha vantaggi congiunturali non indifferenti. Ma per differenziarsi da Bush, più che attaccare l’Iran, è probabile che utilizzino lo stesso la spesa pubblica e lascino aumentare i tassi d’interesse per rendere di nuovo conveniente investire in Borsa.
Il problema è che l’aumento delle spese militari ha effetti antirecessivi immediati, è triste dirlo ma è proprio così.

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